Mino Raiola era un uomo potente del calcio mondiale. Temuto ma anche rispettato, amato dai suoi calciatori – cui garantiva il massimo guadagno possibile nel corso della carriera -, spesso detestato dai tifosi legati ciascuno alla propria bandiera e, certamente, mai banale. E’ morto all’età di 54 anni dopo mesi in cui le notizie sulle sue condizioni di salute si erano susseguite, sempre più preoccupanti. A gennaio l’entourage era stato costretto a smentire un intervento d’urgenza durato diverse ore all’ospedale San Raffaele di Milano, confermando solo l’esistenza di controlli programmati. Intorno a lui, però, il silenzio; inusuale per un uomo abituato ad avere grande esposizione mediatica e che della comunicazione ha sempre fatto uno dei suoi cavalli di battaglia.
Dalle origini umili alla gestione dei top-player
Originario di Nocera Inferiore ma subito spostatosi in Olanda, Raiola non ha mai rinnegato le sue origini umili e dal basso è partito per costruire una carriera straordinaria. Ha amministrato la vita sportiva di alcuni dei calciatori più famosi, da Nedved a Ibrahimovic passando per Pogba, De Ligt, Donnarumma, De Vrij fino ad arrivare ad Erling Haaland, il nuovo crac del calcio mondiale. L’attaccante norvegese del Borussia Dortumund è stata la sua ultima grande intuizione: in estate passerà alla corte di Pep Guardiola al Manchester City in una trattativa che promette (o minaccia a seconda dei punti di vista) di sgretolare ogni record in fatto di commissioni pagate.
Esempio di alcune storture del sistema
Ricchissimo, è presente in tutte le classifiche di procuratori e intermediari che controllano le carriere degli sportivi professionisti in giro per il mondo. Anche per questo è spesso finito nei pensieri negativi dei vertici del calcio, come esempio di alcune storture del sistema che arricchisce i gestori del talento penalizzando chi, gli stessi talenti, contribuisce a crearli. Non era così o, meglio, non è questo l’unico problema del calcio-business. Raiola non si è mai tirato indietro nel discutere la propria posizione e nell’attaccare, qualche volta anche andando sopra le righe, la Fifa e le istituzioni. Ha provato anche a scalarle dall’interno, una delle poche sfide perse in trent’anni di presenza dentro il mondo dello sport.