La maggioranza bulgara con cui Giovanni Malagò è stato confermato presidente del Coni, terzo e ultimo mandato, certifica alcune dinamiche interne dello sport italiano. La prima è che lo stesso Malagò lo criticano in tanti, spesso accusandolo di essere una sorta di despota, ma alla fine lo votano perché mancano alternative credibili o anche solo per presa di coscienza del momento di tutto il sistema, uscito piegato dalla crisi pandemica che rischia di veder scomparire una fetta importante della base e che non sta benissimo nemmeno ai piani più alti.
Giovanni Malagò Presidente Coni: non c’è la fila per il suo posto
L’idea del cambiamento è affascinante, sempre. Però non sembra esserci la fila di chi vuole mettere le mani in un quadriennio in cui le scelte da fare saranno tante e spesso difficili, gestendo una fase in cui conteranno molto i rapporti con la politica e servirà una dose di coraggio e fantasia per traghettare lo sport fuori dalla palude.
Compito per cui il criticatissimo Malagò sembra tagliato su misura, anche perché gli ultimi due tormentati anni lo hanno visto uscire indenne dallo scontro durissimo con i governi che hanno immaginato di farlo scendere dalla giostra e alla fine si sono dovuti accontentare delle briciole.
Giovanni Malagò sognava le Olimpiadi 2024 a Roma
Non sarà sfuggito a tanti, infatti, come Malagò abbia sostanzialmente vinto il match contro Spadafora riportando il Coni al centro del villaggio. Una medaglia da esibire sul petto insieme a quella della candidatura per i Giochi del 2026 a Milano e Cortina andata a buon segno quasi fuori tempo massimo.
Malagò sognava di prendersi le Olimpiadi del 2024 a Roma e non ha perdonato al Movimento 5Stelle il passo indietro in extremis; lo ha ricordato anche nel discorso del giorno della rielezione.
Milano Cortina 2026 la rivincita di Malagò
Però con Milano e il Veneto, espressioni di altre anime della politica italiana, si è preso la rivincita e anche questa è stata esibita sul tavolo nel momento della resa dei conti. Dove ha stravinto garantendosi il posto da guida fino al 2024 e un’ipoteca pesante sulla gestione delle riforme che faranno da base in vista della corsa alla sua successione, obbligata alla scadenza di questo terzo e ultimo mandato da sovrano dello sport italiano.