Perché leggere questo articolo? Nella notte si è conclusa la stagione Nba. I Denver Nuggets hanno conquistato l’anello, anche grazie a un cambiamento del gioco. Con Nikola Jokic è tornato il grande centro…ma solo nel basket.
Il mondo è cambiato, in pochi mesi. Stiamo parlando di quello che succede sui 28 metri del campo da basket, in Nba e non solo. Fino a pochi mesi fa a comandare era Stephen Curry ed i suoi tiri da 8, 9 anche 10 metri. L’epopea dei Golden State Warriors portava ad una nuova filosofia globale della pallacanestro. In 5 fuori, lontani, dietro l’arco, poi un pick & roll. Non per tirare, ma per creare spazio e tempo per uno scarico ed un tiro dalla lunghissima distanza. Un mix perfetto per Curry e per il «fratello» Clay Thompson che hanno fatto grandinare triple in giro per tutto gli Stati Uniti portandosi a casa più di un titolo. Di fatto senza contemplare la presenza di un centro sotto canestro.
Il grande ritorno del grande centro in Nba
Poi le cose sono cambiate. Inutile dire che gli allenatori avversari con il passare del tempo hanno trovato le contromisure per bloccare lo strapotere dei tiratori dalla lunghissima (Curry, Harden, Lillard, etc.). Ecco allora che, un passo alla volta, al centro del gioco torna la figura del pivot. Non è un caso che ormai da due anni il premio di Mvp della Nba sia andato a Nikola Jokic, serbo, appassionato tanto di basket quanto di cavalli.
Due metri ed undici di altezza. Jokic è un centro anomalo. Di fatto è il playmaker dei Denver Nuggets che si stanno giocando il titolo contro Miami. Spesso infatti dopo il rimbalzo (sono quasi 20 di media ogni sera) è lui che porta la palla in palleggio. Ed è sempre lui a smistare assist (quasi 10 a partita), oltre a realizzare dai 25 ai 30 punti, quasi tutti con movimenti e tiri dalla piccola distanza, cose che riescono solo a lui ed alle sue mani.
Non è un’eccezione americana
Basta vedere cosa succede quando le squadre avversarie decidono (mossa della disperazione) di difendere a zona. Un semplice movimento sul lato, poi la palla arriva al serbo che ha i piedi sul bordo dell’area dei tre secondi e da lì ha solo l’imbarazzo della scelta tra tirare in avvicinamento, o scaricare ai due taglianti sul fondo che ringraziano dato che si trovano palloni comodi a due passi dal ferro.
Ma non si tratta di un’eccezione. Basta guardare alla stagione dei Lakers, arrivati alla finale di conference persa proprio contro Denver dopo una stagione, forse l’ultima a grande livello di LeBron James ma dove il vero barometro nel bene e nel male dei gialloviola è stato Antony Davis, altro over due metri, con movimenti e trattamento di palla da guardia.
Anche Miami ha in Adebayo, pivot forse meno tecnico degli altri due ma dall’atletismo ineguagliabile, il segreto soprattutto difensivo. Che è un po’ quello che è successo anche in Europa. Se il Real Madrid ha vinto l’Eurolega (oltre allo scandalo di gara 2 contro il Partizan in casa e le squalifiche per rissa) lo deve certo al tiro allo scadere della finale di Sergio Llull o alle final four giocate dal Chaco Rodriguez, ma soprattutto alla presenza in campo di Walter Tavares, da Capoverde alla Casa Blanca; 221 cm di altezza ed un’apertura «alare» di 2.36. Una presenza che ha obbligato tutti gli avversari a star lontano in attacco dall’area madrilena e diventando allo stesso tempo un vero rebus irrisolvibile in difesa.
Il centro torna ad essere il perno del basket
Insomma, sempre più viva i lunghi, il pivot, che sa forse di basket anni ’70 ed ’80 dove il «centro» era il vero perno attorno a cui si costruiva qualsiasi squadra di pallacanestro. Un bel problema per noi, italiani, che dai tempi di Dino Meneghin non abbiamo campioni di peso internazionale in quel ruolo.