Empoli, Fiorentina, Lazio, Verona e Udinese sono state multate lunedì dal giudice sportivo della Lega Serie A “per non avere i propri sostenitori rispettato il minuto di silenzio disposto dalla Figc” in memoria del Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, scomparso lo scorso 22 settembre a 98 anni. Fischi e cori che sono valsi ai cinque club un’ammenda di 5 mila euro ciascuno e che, infine, evidenziano un aspetto di fondo: il calcio, in generale, ha un problema con i minuti di raccoglimento, specie quando vengono disposti in memoria di esponenti politici, per quanto di primo piano e assai rilevanti nella storia del Paese, come appunto Giorgio Napolitano.
Contro il sistema
Le curve e gli ultras, da sempre e in particolare dopo la direttiva che nel 2009 introdusse la tessera del tifoso, il politico viene visto in genere come controparte, fautore di legislazioni repressive nei confronti di movimento che di queste si considera vittima e rivendica una libertà sui generis e il controllo sulla porzione di stadio che tradizionalmente occupa nelle sue principali frange ultras. Del resto quella ultras è una cultura che si percepisce sostanzialmente come antisistema, e i politici, specie quelli che hanno o hanno avuto posizioni apicali, per definizione sono sistema.
Il Divo e gli altri
Così, nel corso degli ultimi dieci anni, si è assistito in diverse occasioni a fischi e cori insultanti nei confronti di esponenti della politica italiana proprio nei minuti di raccoglimento a loro dedicati. Il caso più eclatante è probabilmente quello che riguarda Giulio Andreotti, scomparso il 6 maggio 2013 e per omaggiare il quale Il Coni dispose il minuto di silenzio su tutti i campi – in tutte le manifestazioni sportive, in realtà – per le partite dei giorni successivi. Fischi assordanti arrivarono da tutti gli stadi (Torino, Siena, Bologna, Milano, Bergamo), ma stupirono in particolare quelli dell’Olimpico, prima di un Roma-Chievo, nonostante Andreotti non avesse mai nascosto la sua fede giallorossa e, per un certo periodo, al vertice del club ci fosse stato Franco Evangelisti, a lungo suo braccio destro.
Tre anni prima, nel 2010, anche per la morte del presidente emerito Francesco Cossiga venne disposto il minuto di silenzio. E, soprattutto allo stadio di Livorno l’occasione fu propizia per il lancio di cori insultanti da parte della parte più calda della tifoseria (che espose anche uno striscione di contestazione politica, riferita agli anni in cui Cossiga era stato ministro dell’Interno: “Giorgiana Masi, Francesco Lorusso: noi non dimentichiamo”), e nel 2016 dopo la morte di Carlo Azeglio Ciampi, livornese, il minuto di raccoglimento alla sua memoria venne interrotto da cori e fischi a La Spezia e da parte degli ultras della Lucchese, tifoserie storicamente nemiche di quella amaranto. Fischi si levarono anche a Genova, Torino, Bari e Udine, dove la Procura aprì addirittura un’inchiesta per il reato di vilipendio. Nel 2012 era toccato a Oscar Luigi Scalfaro, fischiato soprattutto a Roma, che peraltro è il luogo di residenza dei Presidenti della Repubblica, coloro che, in definitiva, promulgano le leggi, comprese quelle che gli ultras considerano repressive.
L’eccezione Berlusconi
Fa eccezione, fra tutti, Silvio Berlusconi. L’unico di questa lista, insieme ad Andreotti, a non essere mai stato Presidente della Repubblica e al quale è stato concesso l’onore del minuto di raccoglimento. Ora, Berlusconi è morto il 12 giugno, a stagione calcistica praticamente terminata (nelle poche gare che si giocarono, la finale playoff di C Foggia-Lecco e soprattutto Spagna-Italia non vi furono fischi né cori). Questo ha diminuito le possibilità di contestazione. Tuttavia la sua figura, generalmente, dagli ultras, anche avversari, è sempre stata vista con una certa simpatia, come hanno dimostrato gli omaggi (striscioni, post, comunicati) delle tifoserie organizzate di rivali del suo Milan come Juventus, Inter e Napoli.
Berlusconi, per spregiudicatezza, linguaggio, passioni e per la sua figura arcitaliana è stato percepito dagli ultras, di fatto, come uno di loro. Paradossalmente, quasi una figura antisistema, ed è abbastanza singolare se si pensa che le spinte al “calcio moderno” le cui caratteristiche gli ultras disprezzano si deve anche alle spinte del Berlusconi imprenditore televisivo, ormai quarant’anni fa, e che era a Palazzo Chigi quando entrò in vigore la tessera del tifoso. Era il governo Berlusconi IV.