Notti insonni e per niente magiche, inseguendo una qualificazione al Mondiale presa per il rotto della cuffia e che – da sola – può salvare il 2022 del calcio italiano, non gettando via il 2021 fantastico dell’Europeo. L’avvicinarsi del D-day sta togliendo il sonno a più di qualcuno in Federcalcio, non solo al ct Roberto Mancini e agli azzurri. La situazione è preoccupante, inutile girarci intorno: ci saranno defezioni pesanti e molti degli eroi di Wembley non hanno mostrato in queste ultime settimane una forma accettabile. C’è chi si trascina i problemi del proprio club (Donnarumma e Verratti ad esempio), chi sta rifiatando dopo aver tirato la carretta (Barella) e chi è appena rientrato e non è ancora al cento per cento (Belotti). Se a questo si unisce la precarietà fisica della coppia juventina Chiellini-Bonucci e l’alternanza di prestazioni di Insigne, che ha la testa in parte a Napoli e un po’ a Toronto, ecco che il quadro è completo.
Contro la Macedonia del Nord prima e, soprattutto, conto Portogallo o Turchia l’Italia del pallone si gioca la pelle. E c’è chi sulla ruota del Qatar ha scommesso forte anche sul piano politico, magari augurandosi (non pubblicamente) una debacle per regolare i conti con il presidente della Figc, Gabriele Gravina. Un partito trasversale che sta prendendo forza in questi mesi in cui l’ex osannato numero uno di via Allegri ha perso consensi nei palazzi che contano. Nulla che possa al momento insidiare la sua poltrona, ma se a Lisbona o Istanbul arrivasse un fallimento mondiale le cose cambierebbero rapidamente.
Gravina: comunque vada, non mi dimetterò
Non è un caso che Gravina sia uscito allo scoperto per tempo, senza fare nomi e cognomi, per annunciare ai nemici che nemmeno in caso di flop rassegnerebbe le due dimissioni. L’esito della battaglia elettorale in Lega Serie A, però, è stato un altro campanello d’allarme dopo le prese di posizione da oppositori degli esponenti del massimo campionato presenti in Figc. La vittoria del giurista Lorenzo Casini, uomo di Lotito e De Laurentiis, non è stata accolta con soddisfazione a Roma perché ha premiato l’ala dura dei club e in prospettiva messo dentro il Consiglio federale un esponente di certo non amico di Gravina. Le società sono da qualche mese sul piede di battaglia. Non hanno gradito la sconfitta politica nella partita dei ristori, più volte chiesti al Governo Draghi e mai arrivati, e sono ferocemente contrari all’inasprimento dei parametri per l’iscrizione al prossimo campionato con l’adozione del temutissimo indice di liquidità fin qui valido solo per poter fare mercato.
E’ una questione di denaro, tanto per cambiare. Molti proprietari saranno costretti in estate a mettere mano a ricapitalizzazioni dolorose per non vedersi respingere la domanda di ammissione. Gravina non gode, dunque, di grande popolarità in via Rosellini e se dovesse fallire l’approdo al Mondiale certamente non troverebbe sponde. Del resto, i club hanno negato a Mancini anche lo spostamento della giornata pre-spareggi dimostrando ben poca flessibilità. A proposito del ct, il contratto lo blinda sulla carta fino al 2026 e Gravina ha detto ripetutamente che resterà anche in caso di fallimento. Una excusatio non petita (accusatio manifesta) perché è evidente che molto difficilmente il tecnico sopravviverebbe a se stesso e lui per primo, forse, sarebbe spinto a salutare la Federazione. Rendendo ancora più debole chi l’ha voluto. L’Europeo trionfale di Wembley sarebbe spazzato via, sia a livello tecnico che politico. Uno scenario da incubo per tanti ma non per tutti.
PS – Tra chi, invece, fa il tifo perché l’Italia superi Macedonia del Nord e Portogallo o Turchia ci sono i vertici della Rai che si sono già assicurati i diritti del Mondiale, muovendosi per tempo e a prezzo pieno. Senza l’Italia si troverebbero in mano un prodotto svuotato di gran parte del suo valore, inizialmente calcolato anche tenendo conto della collocazione invernale e con orari favorevoli per il pubblico televisivo europeo. Una sciagura anche in viale Mazzini.