Il suo debutto da nuovo uomo forte della Juventus era passato quasi sotto silenzio. Lui al tavolo con Andrea Agnelli, Pavel Nedved e Federico Cherubini e tutti concentrati sulle storie di mercato e sulle vicende dello scontro politico con la Uefa. Maurizio Arrivabene si era ritagliato giusto lo spazio per un paio di battute: mi piacciono le sfide e la cosa che conta è vincere, perché essere bellissimi e perdenti non serve a nulla. Grazie e arrivederci. Sei mesi dopo l’ex uomo forte della Ferrari è il centro dell’universo bianconero e il suo ruolo si è via via chiarito anche per i più riluttanti a comprendere come farlo sbarcare sulla plancia di comando – lui che nel consiglio d’amministrazione era da anni – fosse un segnale che la ricreazione era finita.
Arrivabene chiamato al capezzale della Juventus
Non un commissario messo lì per controllare Andrea Agnelli da parte del cugino Elkann, lettura ingenerosa e nemmeno vera, ma un manager chiamato al capezzale della Vecchia Signora per rimettere la barca in linea di galleggiamento nel mezzo della tempesta Covid innestata nel periodo delle spese pazze e pure sbagliate. Maurizio ‘Mani di forbice’ Arrivabene si è preso il centro della scena e dentro la Juventus ora tutto passa da lui, con l’obbligo di cancellare i 340 milioni di euro di passivo accumulati dal 2019 al 2021, costati alla proprietà Exor una doppia ricapitalizzazione da 700. La prima pensando di fare il grande salto, la seconda per limitare i danni.
Arrivabene alla Juventus serve a questo: tagliare, contenere, selezionare e rilanciare. Non deve sorprendere che ci abbia messo due mesi a perfezionare l’acquisto di Locatelli dal Sassuolo, limando anche i centesimi di euro prima di affidarlo ad Allegri che lo aspettava impaziente. E non deve sorprendere il decisionismo con cui ha preso di petto l’idea Vlahovic con tutti i rischi economici e sportivi che rappresenta, essendo un investimento apparentemente fuori dalla portata di un club che deve dimagrire ma, allo stesso tempo, una spesa fatta tenendo conto dei nuovi parametri della Vecchia Signora: giovani, forti, valorizzabili.
Arrivabene e Paratici a confronto
Il contrario di quanto avvenuto nel triennio sciagurato di Paratici, accompagnato alla porta alla scadenza del suo contratto. Quello dei parametri zero strapagati e che adesso puntano i piedi come Ramsey e Rabiot, degli scambi per fare plusvalenza con l’arrivo di presunti top player valutati decine di milioni (Danilo e Arthur), delle cessioni di ragazzotti di belle speranze poi valorizzati a suoi di assegni da altri (Romero in attesa dell’esplosione definitiva di Demiral), dell’invecchiamento progressivo della rosa, di doppioni presi in serie come Kulusevski appena dopo Chiesa. Di prodotti del settore giovanile finiti altrove a fare fortuna (Spinazzola) e di pasticci che hanno causato imbarazzi e scelte tecniche sanguinose come la storia del passaporto di Suarez e il leasing extralusso di Morata che ha pesato 20 milioni in due anni.
Nessuno si deve sorprendere, insomma, se Maurizio ‘Mani di forbice’ Arrivabene ogni tanto sembra un elefante a disagio dentro una cristalleria. Anche la vicenda Dybala in gran parte è stata ereditata dal nuovo uomo forte della Juventus, se non nell’ultimo accordo – poi rinnegato -, almeno nella gestione precedente, quella del tentativo disperato di vendere la Joya all’estero per due estati di fila con una mano e con l’altra provare a blandirlo eleggendolo e capitan futuro. L’unica certezza di Arrivabene, stella polare del suo agire, è che quel mostro che brucia circa 300 milioni di euro in costi operativi ogni stagione va mutilato. Lasciar partire Cristiano Ronaldo con i suoi 60 lordi e i suoi capricci non è stato sufficiente. Anche al netto del nuovo tetto, il taglio affidatogli è di almeno altri 30-40 milioni di euro. Chi si adegua resta, chi pretende di più se ne va. Anche con le brutte, visto che il carattere del bresciano non viene descritto come particolarmente gioioso quando si tratta di questioni di lavoro.