Non è solo la gloria sportiva e nemmeno l’idea che fallire l’obiettivo mondiale sporcherebbe non poco la tela di questo meraviglioso 2021 del calcio e dello sport italiano. A far stringere a coorte attorno alla nazionale del Mancio tutti – ma proprio tutti – ci sono milioni, anzi miliardi di motivi. Molto meno nobili rispetto alla qualificazione per Qatar 2022 che riporterebbe la maglia azzurra in un Mondiale cancellando l’umiliante assenza in Russia cinque anni fa. Di questo si deve occupare il ct dei miracoli, consapevole di non poter sbagliare già dalla sfida contro la Svizzera (che sinistramente ricorda nel nome quella con la Sv…ezia) ed eventualmente di non poter mancare la rete di salvataggio stesa dai playoff. Tutto il resto, invece, rappresenta la vera posta in palio che spinge l’intero Paese a fare il tifo per gli azzurri dopo essere salito sul carro degli stessi a luglio, di ritorno dalla meravigliosa impresa di Wembley.
Cosa significa stare fuori da un Mondiale lo abbiamo imparato sulla nostra pelle nel 2018. Allora il ko contro la Svezia costò, nelle stime degli economisti, non meno di un miliardo di euro immaginando che in Russia saremmo andati a fare da comparse. Una cifra estendibile e di molto nel caso di un cammino un po’ più interessante dell’allora nazionale di Ventura che, invece, si schiantò sugli svedesi nella tragica notte di San Siro. Questione di consumi interni spinti dall’euforia del mese mondiale, di valorizzazione del Made in Italy in un momento di massima visibilità, comparabile solo alle Olimpiadi, di indotto trascinato da comparti direttamente legati all’evento (ad esempio tv, marketing e comunicazione) e più in generale l’export che per la nostra economia è sempre voce molto sensibile.
In più c’è lo stimolo che il prossimo sarà un Mondiale mai visto: si giocherà d’inverno (e nessuno è in grado di stimare oggi l’impatto sugli ascolti tv) e in Qatar, cioè nel cuore di quella parte del mondo piena di soldi che fanno gola a tutti. Un mercato finanziario immenso verso il quale si è scatenata una sorta di caccia al tesoro, non solo nel calcio dove fin qui l’Italia ha recitato un ruolo marginale nell’attrarre i dollari del petrolio. Guai a non esserci, insomma. Con i nostri piedi nobili, da campioni d’Europa, con le nostre aziende e con i nostri marchi sempre in cerca di visibilità e opportunità di business.
Se è vero che la vittoria all’Europeo ha avuto un impatto positivo sul Pil italiano dello 0,7% – stima non smentita e, anzi, rafforzata dai successi olimpici dei nostri atleti – e che l’export, secondo gli analisti, ha fatto segnare un prodigioso +10% legato alle parate di Donnarumma e ai colpi degli altri azzurri, ecco che mancare la qualificazione mondiale potrebbe cancellare di colpo gli effetti benefici del 2021 dello sport. Un’evenienza che non piace a nessuno, non solo dalle parti di Coverciano.
Anche la Federcalcio ha milioni di motivi per tifare azzurri. L’eliminazione nel 2018 costò alcune decine di milioni tra merchandising, contratti tv, contributi Fifa e premi per il cammino iridato costringendo l’allora numero uno Tavecchio a inventarsi il contratto ‘sponsorizzato’ per far firmare ad Antonio Conte la ripartenza della nazionale. Oggi il bilancio della Figc sta bene, irrobustito anche dal jackpot dell’Europeo. Non è un mistero, però, che i prossimi mesi siano quelli della raccolta in termini di sponsor e partnership per una nazionale dal volto fresco e vincente. Un’aura spendibilissima sui grandi mercati, a maggior ragione avendo davanti – in caso di qualificazione – un anno per lavorarci. In caso di flop, invece, sarebbe tutto inutile. E quindi è bene stringere i denti e gettare il cuore oltre l’ostacolo, meglio se facendo il nostro dovere direttamente con la Svizzera senza condannarci all’incubo dei ripescaggi.