Un altro calcio è possibile ed è anche vincente. Ora c’è la prova, nella festa dei giocatori del Milan e di Stefano Pioli sul prato di Reggio Emilia. Scudetto numero 19 della storia rossonera, tra i meno attesi e quindi tra i più dolci per un popolo abituato alle feste ma che si sta godendo quella firmata dai gol di Giroud e Kessié (gli ultimi a finire nel tabellino stagionale) come se non fosse mai accaduto prima.
Un’esplosione di gioia che premia una cavalcata conclusa meritatamente con il titolo. Forse l’Inter aveva maggiori qualità, di sicuro il Milan ha avuto più fame e capacità di resistere in un inverno condizionato dagli infortuni per poi prendere un ritmo inarrestabile quando è stato il momento di chiudere il discorso.
Milan Campione d’Italia senza follie, è lo scudetto della sostenibilità
È lo scudetto della sostenibilità quello che ha vinto il Milan, con una proprietà attenta ai conti e di passaggio tanto che il primo giorno di Paul Singer in uno stadio al seguito della squadra sarà, quasi certamente, anche l’ultimo da numero uno del club. Lo scudetto della competenza di Paolo Maldini e Frederic Massara, gli architetti del progetto sportivo. Lo scudetto di Ivan Gazidis, uomo che ha dato una fisionomia riconoscibile e funzionale all’azienda rossonera rilevata dalla sciagurata gestione cinese e rimessa in linea di galleggiamento non senza sacrifici e scelte impopolari.
C’è un segnale forte a tutto il mondo del calcio nel trionfo rossonero: un altro calcio è possibile e il resto del pallone italiano farà bene a prendere nota e a cercare, se non di copiare, almeno di adeguarsi al modello. Guai a seguire le mode che vengono da fuori, le spese folli e gli ingaggi senza limiti e senza senso: meglio affidarsi a chi ha in testa un piano e prova a tenere dritta la barra senza farsi portare a spasso dagli eventi.
Una gestione capolavoro: i record di Pioli e gli sforzi della società
Da quando il pallone si è rimesso a rotolare dopo il lockdown – giugno 2020 – la squadra di Pioli ha raccolto 195 punti in 88 partite alla media sbalorditiva di 2,21 a gara. Serviva mettere insieme una stagione perfetta e così è successo, ma guai a chiamarlo miracolo o impresa. Si è trattato del risultato degli sforzi di società e area tecnica, della conduzione limpida e sempre coerente che ha trovato in Stefano Pioli il condottiero giusto e ha saputo riconoscerlo dopo mesi in cui si era immaginato di fare scelte diverse. È lo scudetto nato dal ripensamento su Rangnick, dell’addio a Donnarumma e Calhanoglu e a quello che arriverà di Kessié. Lo scudetto di Kalulu, arrivato bambino e diventato titolare inamovibile anche perché Maldini ha scelto di puntare sulla sua valorizzazione invece di andare a tutti i costi sul mercato per sostituire l’infortunato Kjaer.
L’Inter di Inzaghi ha fatto una grande stagione, vinto Coppa Italia e Supercoppa e combattuto fino all’ultimo minuto raggiungendo quota 84 punti. Il Milan ha vinto contro un avversario forte e mai domo e anche questo racconta la grandezza speciale dello scudetto che torna a casa Milan dopo undici anni di attesa. Una specie di traversata del deserto nel quale si sono saldati passato (Berlusconi) e futuro (la proprietà che verrà dopo e con Elliott). Non era la squadra più ricca e più pagata quella messa in mano a Pioli. Ha vinto. È una buona notizia per tutti perché spiega che un altro calcio, più umano e a portata di tutti, non è solo un sogno ma è possibile davvero.