Milano si avvia a celebrare una domenica da capitale d’Italia e lo è a tutti gli effetti, comunque vada a finire la volata scudetto in cui il Milan parte favoritissimo (1,10 per i quasi infallibili bookmakers) e l’Inter di rincorsa. Percorso netto, senza lasciare agli altri nemmeno le briciole. E complice la fase di de-costruzione della Juventus, è così dal 2020 perché l’Inter aggiungerà comunque trofei a trofei mentre il Milan, che fin qui non aveva alzato nulla, ha vissuto comunque gli ultimi due campionati costantemente al primo o secondo posto, senza mai scendere al di sotto del terzo.
La Milano del pallone ha rialzato la testa
Non siamo agli ’80 e ’90 e nemmeno alla folle settimana della doppia semifinale di Champions League dell’aprile 2003, quella che spinse l’allora sindaco Gabriele Albertini (milanista dichiarato) a definirsi “gonfio come un tacchino per l’orgoglio”. E’ un dato di fatto, però, che la Milano del pallone ha rialzato la testa anche al di là delle proprie possibilità. Lo ha fatto con due proprietà straniere, con storie molto diverse e un futuro che oggi appare divergente: da una parte le difficoltà cinesi di Suning e dall’altra le suggestioni arabe del post Elliott, sempre che il fondo che ha salvato il club dopo i disastri di Yonghong Li abbia davvero voglia di mollare.
Intorno ai successi di Pioli e Inzaghi, infatti, c’è il nulla o quasi. C’è una città che da oltre mille giorni dibatte sulla richiesta di darsi uno stadio nuovo, moderno, privato e condiviso, sostenuto nel suo investimento da quel corredo di operazioni immobiliare che in tutto il mondo sono la base d’appoggio per i club che si dotano di infrastrutture dell’ultima generazione, ma da noi sono vissute costantemente come improprio tentativo di arricchirsi. Fa niente che Elliott e la famiglia Zhang, pur senza toccare gli eccessi di Berlusconi e Moratti, fin qui abbiano pagato di tasca propria il ritorno alla grandezza di Milano.
Nessuno sconto, nessuna visione. Milan e/o Inter saliranno sul tetto d’Italia malgrado tutto e a prescindere dalla Milano (fu) capitale economica di questo Paese, ex modello di funzionamento allergico a logiche politiche e burocratiche molto romane. Milan e/o Inter si prenderanno lo scudetto in un duello tutto meneghino e il giorno dopo si ricomincerà come prima, con il balletto di distinguo e precisazioni, le perdite di tempo, le barricate posizionate strategicamente sul percorso dei due club per impedirgli di restare dove sono e di tornare in fretta a comandare anche in Europa. Dove, bisogna essere chiari al punto di diventare spietati, senza possibilità di investimenti e business Milan e Inter sono condannate a diventare sempre più periferiche.
Perché lo scudetto sarà vissuto come un fastidio
Così miope, Milano, da aver autorizzato l’occupazione di Piazza Duomo nel week end del finale di campionato senza porsi il problema del comportamento delle due squadre cittadine. Si dirà: gli organizzatori del maxi concerto si sono mossi per tempo, quando il duello scudetto non era ancora delineato come nelle ultime settimane. Vero. Ma una città orgogliosa dei suoi club calcistici avrebbe segnato con un circoletto rosso quelle date (14-15 e 21-22 maggio) sull’agenda lasciandole a disposizione del pallone, dei tifosi, dell’orgoglio dell’una o dell’altra parte del tifo.
Non è stato così. Lo scudetto sarà vissuto come un fastidio, tra minacce di scioperi dei vigili urbani (sempre in prima fila nel cercare di monetizzare i momenti di massima visibilità) e limitazioni, sperando che duri poco, si veda poco, finisca in fretta. Non è un problema di tifo calcistico, è una questione di priorità: a Milano il calcio e lo sport non lo sono da tempo e questa meravigliosa sfida tutta rossonera e nerazzurra non è che l’ultimo capitolo e la conferma. Il calcio piace solo quando ci sono da richiedere ed esigere biglietti gratis e posti in prima fila.