C’è una cosa che Paolo Scaroni, presidente del Milan, e Alessandro Antonello, amministratore delegato dell’Inter, ripetono come un mantra ad ogni occasione pubblica e privata: i due club marciano compatti nella storia del nuovo stadio e nemmeno il cambio di proprietà in casa rossonera ha sciolto la coppia. Non è il momento di incrinare il fronte, insomma, visto che già la battaglia di trincea per superare veti e ostacoli burocratici sta consumando risorse ed energie alle due società. Avanti così, immaginando di finalizzare entro il primo semestre del 2024 il lungo lavoro iniziato nel 2019 e che è costato alle società diversi soldi, la rinuncia a una bella fetta di volumetrie e futuri incassi e ritardi penalizzanti anche dal punto di vista sportivo.
Mollare adesso sarebbe un suicidio
Mollare adesso sarebbe un suicidio, a meno che sul percorso verso l’apertura dei cantieri (che è ancora lungo e pieno di trappole) non fossero disseminati anche ricorsi e trucchetti vari per allungare ulteriormente le scadenze rimettendo in gioco anche il piano A/bis (visto che nessuno lo vuole definire piano B) che consiste nello spostamento dell’intero progetto altrove
Cosa accadrebbe al monolite formato da Milan e Inter se da San Siro ci si orientasse verso un’altra area?
La domanda cui nessuno ha mai risposto, però, è questa: cosa accadrebbe al monolite formato da Milan e Inter se da San Siro ci si orientasse verso un’altra area, magari quella di Sesto San Giovanni? Non ci sono riscontri ufficiali, solo voci e sensazioni raccolte intorno al dossier stadio. Ad esempio, è una certezza che Gerry Cardinale si sia già visto a Sesto per visionare l’area eventualmente scelta e fare due chiacchiere con proprietari e amministrazione comunale. E non risulta che fosse accompagnato anche dai dirimpettai dell’Inter. Così come si vocifera che la situazione economica non semplice – per usare un eufemismo – che sta attraversando la famiglia Zhang e la galassia Suning, con la prospettiva a breve di passare di mano, si sia trasformata in questi mesi anche in una certa lentezza nel mettersi in prima fila negli atti concreti che devono essere compiuti per dare consistenza al progetto. Perché l’ideazione e realizzazione di un’infrastruttura da oltre un miliardo di euro passa anche attraverso una rete di consulenze e spese da sostenere quasi quotidianamente.
Lo stadio a San Siro possa essere ancora lo stadio di entrambe le squadre milanesi
Non è scontato, dunque, che un eventuale stadio non a San Siro possa essere ancora lo stadio di entrambe le squadre milanesi. E non è nemmeno argomento di stretta attualità perché oggi si sta giocando la partita più importante sul distretto sede naturale di un impianto per il calcio. La preoccupazione di Milan e Inter è rivolta ai tempi e ai costi, già lievitati enormemente rispetto alle previsioni del 2019: da 600 a oltre 800 milioni di euro per lo stadio, solo parzialmente compensati dalla diminuzione imposta delle spese per alcune delle costruzioni che facevano parte del progetto originario, quando la volumetria richiesta era di 0,51 mq/mq e non 0,35 come stabilito d’imperio da Palazzo Marino per non usufruire della legge stadi per derogare dal Piano Regolatore. Il timore è che la corsa dei prezzi non sia finita, anzi, e che il momento della scrittura del progetto esecutivo possa riservare cattive notizie costringendo a rivedere i piani finanziari dell’intera operazione.
L’idea di Milan e Inter e delle rispettive proprietà è raccogliere sul mercato la maggior parte dei soldi che serviranno per realizzare il distretto (oggi stimati in 1,3 miliardi di euro), limitando entro termini ragionevoli il ricorso all’equity dei due proponenti. Perché avvenga, però, sarà necessario un preventivo non troppo distante dall’idea iniziale e la certezza di tempi e ritorni dell’investimento, due garanzie che oggi vengono date per scontate ma che rappresentano un passaggio ancora tutto da affrontare.