Che i rapporti siano tesi quasi al livello di guardia lo testimoniano le ultime due settimane. Milan e Inter hanno rotto gli indugi per passare al contrattacco: arrivati a mille giorni dalla presentazione del primo studio di fattibilità del nuovo stadio di Milano, il bilancio sullo stato di avanzamento del dossier è considerato estremamente negativo. Dunque, avanti tutta, anche se significa mettersi nelle condizioni di abbandonare San Siro al proprio destino per trasferirsi altrove. Passi ufficiali non sono stati ancora compiuti e il filo del confronto con il sindaco Beppe Sala non si è spezzato. Anzi. I due club continuano a non considerare l’opzione dell’attacco frontale al primo cittadino per non metterlo in difficoltà, ma è chiaro che ogni giorno che passa l’attesa di una presa di posizione definitiva da parte di Palazzo Marino è sempre meno tollerata.
L’opzione Sesto San Giovanni
Di sicuro l’opzione Sesto San Giovanni è sul tavolo, non più chiusa in un cassetto. Che sia un’arma spuntata da giocare nella partita politica è la speranza di chi in Comune ancora non considera chiusi i giochi, mentre le due società sono ormai entrate nell’ottica di un ribaltone. Che sarebbe doloroso e non senza costi, ma che lascerebbe prima di tutto il Comune di Milano con il cerino in mano sotto forma di un impianto i cui costi di gestione sono altissimi e che, senza Milan e Inter e i relativi canoni di affitto, non ha senso di esistere. Il sentiero della mediazione si sta facendo, però, stretto e l’accusa che i vertici e le proprietà del calcio milanese fanno a Sala e a chi governa la città è di non essere stati capaci di far cogliere a tutti l’enorme opportunità di un investimento da 1,2 miliardi di euro minimo sul territorio. E’ passata la linea che Elliott e Suning vogliono speculare sul nuovo stadio, trasformarsi in palazzinari e fare soldi; una sorta di pregiudizio ideologico che ha già bruciato a Roma le idee di James Pallotta, arrivato a quota 3000 giorni prima di alzare bandiera bianca e arrendersi.
Il malcontento non viene più celato
E’ come se Milano, in questi 1000 giorni di peregrinare burocratico, avesse rifiutato un milione di euro al giorno messi dai privati sul suo territorio, è uno dei pensieri che viene fatto nelle sedi dei club. La sorpresa nasce dalla constatazione che anche sotto la Madonnina ci si muove con modi e tempi ‘romani’, nel senso che la vecchia praticità meneghina non è bastata a dare impulso dopo la lunga (e conclusa) trattativa che ha riportato l’originario progetto dentro gli alvei inizialmente richiesti dalle tante anime politiche della maggioranza milanese: mantenimento almeno in parte del vecchio San Siro come simbolo e ritorno allo 0,35 come volumetrie disegnato nel PGT senza fughe avanti. Che, va ricordato, non sarebbero state immotivate ma previste e consentite dalla legge stadi che sta mostrando alla prova dei fatti tutta la sua inutilità.
Ora si entra in una fase nuova e delicata
Milan e Inter, rappresentate da Paolo Scaroni e Alessandro Antonello, si aspettano che Sala sia capace di comprimere i tempi del dibattito pubblico (accolto non senza sottolineare che nessuno ne aveva delineato l’obbligatorietà a inizio confronto) a pochi mesi. Quanti? Il modello è quello di Genova dove per il nuovo Ponte Morandi si fece tutto in 90 giorni. L’idea di arrivare all’anno previsto come termine massimo dalla legge spaventa e, soprattutto, viene considerata la tomba del progetto così come presentato. Ce la farà il sindaco? Sala è stretto tra le due esigenze e di sicuro non viene aiutato da chi, anche nelle commissioni, continua a gettare ostacoli sulla strada del via libera alla Cattedrale, progetto scelto come futuro San Siro. Milan e Inter hanno aperto con un ultimo atto di disponibilità accettando di investire per produrre un nuovo dossier aggiornato da sottoporre al dibattito pubblico. Non il piano esecutivo, per il quale servono decine di milioni di euro col rischio che siano a fondo perduto. Intanto, però, lavorano sulle alternative ed entro il 2027 vogliono debuttare nel nuovo stadio. La dead line è fissata senza possibili deroghe e senza accogliere soluzioni pasticciate di convivenza tra pubblico e privato che pure girano tra le stanze della politica milanese.