Si chiama transazione fiscale, è disciplinata dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, divenuto operativo nel 2022, ed è uno strumento indirizzato alle imprese che consente di definire i debiti erariali con i relativi enti attraverso dilazione, stralcio, o attraverso entrambi. Ma non è per tutti: è riservata alle imprese non minori, quelle che nei tre anni precedenti la richiesta hanno superato almeno un parametro tra fatturato superiore a 200mila euro, attivo superiore a 300mila euro, debiti superiori a 500mila euro. Eccolo lo strumento che ha consentito alla Sampdoria, di concerto con l’Agenzia delle Entrate, la falcidia di quasi 33 dei circa 50 milioni dei debiti accumulati con il Fisco dalla gestione Ferrero (perché dovuti al mancato pagamento di imposte e tasse), salvando di fatto il club che, così, dovrà pagare appena 17 milioni, peraltro con una dilazione di dieci anni.
Debito con l’Erario tagliato quindi e tutti contenti, questo almeno racconta una nota, perché l’Agenzia delle Entrate può così recuperare somme notevolmente superiori a quelle che sarebbero state riscuotibili in caso di fallimento della società; ai creditori del club di evitare l’integrale mancato incasso dei crediti; ai dipendenti della società di conservare i loro posti di lavoro; e all’erario di risparmiare i costi di tutti quegli oneri sociali (cassa integrazione, mobilità, mancata percezione di imposte future) che sarebbero stati dovuti in caso di mancato accordo. Tutto vero. Però…
Il calcio può
Però non sfugge a nessuno come il calcio d’élite, quando ha debiti significativi su piazze rilevanti, riesca spesso a trovare una scappatoia che, sebbene prevista dall’ordinamento e del tutto legittima, è capace di tenere in vita un club sommerso da debiti che l’Erario – lo Stato, tutti noi – non ha ottenuto al momento in cui erano dovuti e non otterrà mai. La Sampdoria della nuova gestione Radrizzani è stata capace di trovare un accordo per pagare, dilazionato e senza interessi, il 35% del debito, cosa che non era riuscita invece alla Reggina che aveva utilizzato lo stesso strumento per proporre lo stralcio per un debito con l’Agenzia delle Entrate di circa 15,5 milioni, pagandone solamente il 5%. L’Agenzia delle Entrate in quel caso non aveva accettato, data l’esiguità della proposta, vedendosi però presentare l’omologa da parte del Tribunale di Reggio Calabria in merito al piano di ristrutturazione del debito del club e facendo ricorso (insieme all’Inps). L’udienza in merito si terrà il prossimo 25 settembre.
Il salvacalcio, il Parma, la Lazio
Questo per dire che il destino dei debiti del calcio, spesso, è quello di non essere pagato, tra stralci e agevolazioni varie che finiscono, inevitabilmente, per infondere nel cittadino comune la sensazione che al calcio, per quanto comparto industriale rilevante, sia concesso ciò che altri nemmeno hanno il coraggio di chiedere. Ricordare il Decreto salvacalcio del 2002, convertito con la legge 21 febbraio 2003 n. 27, che salvò club tecnicamente falliti a causa della loro stessa mala gestione, consentendo tra l’altro di spalmare su dieci anni la voce relativa all’ammortamento sui diritti economici dei giocatori (solo la Juventus e proprio la Sampdoria decisero di non avvalersene), non è inopportuno: già allora venne definito dal giurista Victor Uckmar un “falso in bilancio legalizzato” e, successivamente, dovette essere rimodulato dopo i rilievi della Commissione europea. Ma concesse ai club agevolazioni sui generis.
Pochi anni dopo, poi, i casi Parmalat e Cirio ebbero effetti su Parma e Lazio, salvate in maniera diversa, ma decisamente creativa. Il Parma, dopo il crack Parmalat del dicembre 2003, aveva circa 320 milioni di debiti e riuscì a usufruire nel 2004 della Legge Marzano, entrata in vigore giusto pochi mesi prima: non era scontato che potesse essere applicata ai club calcistici, e in effetti Corte federale e governo non erano d’accordo, ma l’operazione riuscì al commissario straordinario Bondi e il club, invece che in liquidazione, rinacque con una new.co. privata dai debiti. Poco oltre sarebbe toccato alla Lazio (“salvata per motivi di ordine pubblico”, disse l’allora premier Silvio Berlusconi) ottenere un clamoroso salvataggio attraverso un accordo con l’Agenzia delle Entrate che avrebbe permesso al club, rilevato da Claudio Lotito, di abbassare da 157 a 140 i debiti con il Fisco, spalmando il pagamento, senza interessi, in ben 23 anni. Una transazione simile a quella della Sampdoria.
Lotito uno e trino
Già, Lotito. Il presidente della Lazio, oltre che numero uno del club biancoceleste e imprenditore, dalla presente legislatura è anche senatore, eletto in Molise nelle liste di Forza Italia ed entrato in carica il 13 ottobre 2022. Per quanto il senatore Lotito inviti a non strumentalizzare le sue iniziative parlamentari, già in più di un’occasione si è fatto notare per avere proposto al Senato emendamenti a leggi i quali, se approvati, avrebbero finito per incidere proprio sulla sua gestione della Lazio. L’ultimo lo scorso luglio, un emendamento alla Legge Delega fiscale affinché venisse previsto, nelle transazioni fiscali di durata superiore a 15 anni, che il contribuente in regola con la rateizzazione avrebbe ottenuto, dal quindicesimo anno, una riduzione del debito tributario. Emendamento che ha trovato contrari relatore e governo e che è stato bocciato in aula.
Lo scorso dicembre, pur non figurando tra i firmatari, ammise di avere ispirato in Commissione Bilancio – di cui fa parte – un emendamento bipartisan al decreto Aiuti Quater che avrebbe previsto per le società sportive la rateizzazione in cinque anni, e senza sanzioni né interessi fiscali, dei versamenti tributari e contributivi che erano stati sospesi causa Covid fino al 22 dicembre 2022. L’emendamento ha avuto parere favorevole, ma la riapertura non è stata totale e ha concesso la rateizzazione solo per ritenute alla fonte (addizionali comprese) e Iva, con una maggiorazione del 3% sulle somme complessivamente dovute, da versare per intero, contestualmente alla prima rata.