Ha vinto tutto anche se non gli intitoleranno lo stadio come successo a Santiago Bernabeu, l’uomo le cui gesta Silvio Berlusconi ha sempre preso come termine di paragone vantandosi anche di averlo superato nel numero di trofei vinti alla guida di un club. Il peso dell’ex presidente del Milan, poi proprietario del Monza, nello sport e nel calcio italiano non si misura però solo con il numero delle vittorie.
L’uomo che ha portato il calcio nel futuro
Non bastano gli 8 scudetti e le 5 Coppe dei Campioni o Champions League portate a Milanello. E nemmeno i Mondiali per Club e tutto il resto fino ad arrivare a 28: il numero di trofei festeggiati nella sua lunga era rossonera, chiusa nel 2017 con la cessione al cinese Yonghong Li. Un’era cominciata il 24 marzo 1986 raccogliendo il glorioso Milan nella situazione più drammatica della sua storia, a rischio fallimento e chiusura. Lui che secondo i bene informati in gioventù era stato interista e che l’Inter avrebbe anche provato a comprarla prima di dirottare sui rossoneri.
Silvio Berlusconi ha portato il calcio italiano nella modernità. Lo ha fatto transitare dal passato al futuro, lo ha spinto oltre. Dalla cavalcata delle Valchirie e dagli elicotteri fatti planare sul prato dell’Arena Civica di Milano per presentare la sua prima faraonica campagna acquisti. Fino all’idea di creare un campionato europeo da sommare a quelli nazionali: qualcosa che poi è tornato ad ispirare gli inventori della Superlega e che non riuscì nemmeno a chi in quegli anni Ottanta era spinto anche dal vento dell’innovazione in campo televisivo e utilizzava il calcio, ricambiandone i favori, per provare a svecchiare il mondo del pallone.
Un presidente non facile
Berlusconi ha alzato il livello della sfida non facendosi scrupoli a coprire d’oro le stelle che chiamava al Milan. Ha battuto sul suo terreno la Juventus della famiglia Agnelli interrompendone l’egemonia sul calcio italiano. Anche se ha saputo fare un passo indietro quando – ad esempio – si trattò di lasciare all’Avvocato il talento di Roberto Baggio. Ha imposto ai suoi uomini la filosofia del vincere attraverso il gioco. Di attaccare sempre e comunque, di conquistare anche attraverso l’estetica prima l’Italia, poi l’Europa e infine il Mondo.ù
Non è stato un presidente facile, anche se tutti i suoi tecnici lo ricordano pieno di carisma. Ha scoperto Arrigo Sacchi dal Parma e lo ha reso il centro della sua rivoluzione. E’ stato il primo a intuire come un manager cresciuto in casa (Fabio Capello) potesse poi tornare a esprimersi in panchina con pieno profitto. Il binomio con Adriano Galliani ha scritto la storia del calcio italiano per oltre vent’anni: si completavano a vicenda, un rapporto nato per questioni industriali e televisive e poi traslato sui campi di calcio fino alla fine.
Berlusconi dal Mundialito al Monza
Nel 2018, un anno dopo l’addio all’amato Milan il cui sostentamento era diventato arduo anche per un uomo con alle spalle un impero come Silvio Berlusconi, c’era stato il rientro alla guida del Monza. Quasi un capriccio, nuova mission completata con la prima storica promozione in Serie A e la salvezza che Berlusconi ha fatto tempo a gustarsi pur nel travaglio degli ultimi mesi che dal punto di vista della salute gli hanno impedito di stare vicino alla squadra di Palladino.
Berlusconi è stato il Mundialito, primo esperimento di calcio delle stelle a uso e consumo delle tv. E’ stato la collezione dei Palloni d’Oro, talvolta presi anche solo per evitare che finissero altrove facendo concorrenza al Milan. E’ stata l’immagine di un club organizzato e moderno. Per chi ci ha lavorato, è stato un leader carismatico e sempre presente, quasi un fratello grande per tanti calciatori.
Un personaggio divisivo anche nel pallone
Personaggio divisivo anche nel pallone, così come in tutti i campi della sua esperienza, Berlusconi fu anche l’uomo che provocò le dimissioni del CT Dino Zoff il giorno dopo la sconfitta dolorosissima nella finale dell’Europeo perso dalla Francia. Nel Milan ha investito tanto, ricavandone un’immagine personale da vincente. I bilanci rossoneri sono sempre stati l’ultimo dei suoi pensieri, circostanza che ha più volte suscitato polemiche in tutti gli altri. E’ un fatto, però, che il football delle stelle e dei maxi ingaggi, della diffusione sempre più internazionale e della crescita del valore dei diritti tv è nato con il suo arrivo. Chi lo avversava, lo ha odiato: anche nel calcio. Chi lo ha amato lo ha fatto alla follia. Il suo Milan è stata una delle copertine dell’Italia in giro per il mondo, almeno fino a quando l’esplosione dei costi e l’accavallarsi delle vicende politiche e giudiziarie non lo hanno assorbito finendo col distaccarlo dalla sua creatura. Anche dopo, negli ultimi anni, quando poteva andava a San Siro, segno di un legame mai reciso davvero.