L’esclamazione “Andiamo a Berlino!!!” che nel luglio 2006 accompagnò l’impresa della nazionale di Marcello Lippi a Dortmund contro la Germania padrona di casa, finale conquistata che sarebbe stato il viatico per il quarto Mondiale azzurro della storia, è stata l’icona di un’estate indimenticabile. Come il “Sta per succedere qualcosa…” con cui Franco Bragagna anticipò ai profani, voce rotta dall’emozione, che la staffetta italiana della velocità sulla pista olimpiaca di Tokyo era a un passo da qualcosa di storico. Anche se non eravamo nemmeno dentro l’ultima curva e alzi la mano chi si era reso conto che avremmo duellato per l’oro fino all’ultimo centimetro. Telecronache vive, appassionate, tifose: condite di quel sano pizzico di nazionalismo che la gente ama ma che, col passare del tempo, sta diventando una delle note stonate.
Già il finale del duo Caressa-Bergomi a Berlino, dopo il rigore vincente e decisivo di Fabio Grosso, fu un testo preparato e recitato nemmeno troppo bene
Per dire, già il finale del duo Caressa-Bergomi a Berlino, dopo il rigore vincente e decisivo di Fabio Grosso, fu un testo preparato e recitato nemmeno troppo bene. Molto meglio il “Il cielo è azzurro sopra Berlino” di Marco Civoli, voce della Rai, che l’”Abbracciamoci forte” della coppia che qualche giorno prima era entrata nella storia chiudendo le valige per trasferirsi a Berlino.
Telecronisti e seconde voci che ormai paiono avere come obiettivo replicare su canali neutrali i linguaggi ‘faziosi’ e ‘tifosi’ di radio e tv dei club
La deriva è inarrestabile e non coinvolge solo la nazionale, che è la squadra di tutti. Ci si rende conto soprattutto in una stagione come quella che va a finire in cui il calcio italiano è tornato a farci sognare in Europa. Tre finaliste nelle tre coppe e altre due che hanno abbandonato le competizioni solo in semifinale. Tutte accompagnate dal racconto di telecronisti e seconde voci che ormai paiono avere come obiettivo replicare su canali neutrali i linguaggi ‘faziosi’ e ‘tifosi’ di radio e tv dei club. Non si tratta di essere più o meno obiettivi davanti agli episodi, una frontiera che regge sempre meno anche se gli esempi non mancano. Quello che alle orecchie del pubblico televisivo (spesso pagante) stona è la sensazione di essere travolto dall’eccesso di decibel, retorica e verbosità che non si cerca nei commenti attesi più neutri.
Ora i ruoli si sono rovesciati ed è Piccinini ad essere capace di far vivere con parthos la partita di un’italiana in coppa
E’ successo anche in queste settimane, inutile fare l’elenco delle urla che hanno accompagnato, talvolta con smodatezza – reti in extremis fatte o evitate. Un trend che fa risaltare ancora oggi lo stile unico di Sandro Piccinini che rimane pure sempre cronista della vecchia guardia. Quando si inventò le “sciabolate morbide” e tutto il repertorio che ancora lo accompagna in cabina di commento appariva lui fuori contesto. Ora i ruoli si sono rovesciati ed è lui ad essere capace di far vivere con parthos la partita di un’italiana in coppa senza per forza pretendere che tutti quelli che lo ascoltano si debbano percepire come arruolati in un esercito in guerra contro il nemico.
Il tema si ripropone ovviamente per le seconde voci e i commentatori tecnici
Il tema si ripropone ovviamente per le seconde voci e i commentatori tecnici. Ce ne sono di bravissimi, a patto che rimangano sul pezzo. Se non accade, il cortocircuito è servito: o perché si identificano troppo nella ex squadra per la quale hanno giocato, oppure perché sono innamorati del proprio personaggio e delle proprie idee. Il risultato è che il povero telespettatore viene centrifugato e vive due partite in una: quella in campo e quella personale di chi commenta.
Non è questione di nostalgia dei tempi che furono
Non è questione di nostalgia dei tempi che furono. I linguaggi si sono evoluti e la cara, vecchia, scuola Rai oggi appare fuori dal tempo e sarebbe comunque non replicabile nelle piattaforme a pagamento. Non è un caso che in radio gli stili siano differenti e Francesco Repice, prima voce di ‘Tutto il calcio minuto per minuto’ sia diventato trasversalmente un idolo per tutte le tifoserie. In televisione questa operazione non riesce. La verità è che per mettere i brividi a un tifoso coinvolto nel match non serve un diluvio di urla e parole, basta trasferire l’emozione. La più grande impresa della nostra nazionale, la vittoria nei supplementari all’Atzeca contro la Germania – il 4-3 divenuto un pezzo della cultura popolare – fu salutata al fischio finale nel modo più asciutto possibile: “Telespettatori italiani, al termine di due ore di sofferenza e di gioia vi possiamo annunciare: l’Italia è in finale nella Coppa Rimet”. Punto. Eppure a risentirlo oggi, a oltre mezzo secolo di distanza, quelle parole mettono ancora i brividi.