Cinque anni intensi, vivi; un addio dematerializzato, consumato da remoto: messaggi, una telefonate, una pec. Come noto, tra Roberto Mancini e la Nazionale è finita a Ferragosto, un distacco freddo figlio di prodromi ad alto tasso di incomunicabilità e postumi di accuse che continueranno ancora a lungo. Il dato è che Mancini ha lasciato la Nazionale, la Figc ha designato al suo posto Luciano Spalletti, ma nei meandri dell’autodefenestrazione del ct campione d’Europa in carica tanti sono i punti che difficilmente verranno chiariti, nel più classico dei rimpalli di responsabilità. Ecco alcuni degli aspetti della vicenda che, comunque vada, non convincono e lasciano ombre sul rapporto tra l’allenatore e il presidente federale, Gabriele Gravina.
Dimissioni irrevocabili. O no?
La pec di Mancini è stata spedita nella tarda serata di sabato 12 agosto, il comunicato con cui la Figc ha confermato di avere “preso atto” delle dimissioni è di domenica 13. Il testo integrale non è stato ufficialmente divulgato, e ciò ha dato vita a diverse ricostruzioni. Prima fra tutte, quelle tra l’irrevocabilità o meno delle dimissioni. Stando anche a quanto sostenuto da Mancini in un’intervista al Corriere dello Sport, di fatto l’ex ct si aspettava che le dimissioni non venissero accettate: “Dovevo fare questo, mandare una pec, avendo maturato la decisione di lasciare. Poi le cose potevano cambiare”. A precisa richiesta di chiarimento (“Si aspettava che Gravina potesse trattenerla?”), la risposta è stata altrettanto precisa: “Certo. Se uno vuole, le cose può farle cambiare”. Significa, insomma, dimettersi con l’obiettivo di non farsi accettare le dimissioni, alzando però un polverone per modificare alcuni rapporti.
Ora, in Italia le dimissioni non sono una soluzione granché praticata a qualsiasi livello istituzionale, e non sarebbe stato il primo caso di dimissioni gattopardesche. Qui però c’è anche un tema di responsabilità: un atto formale e che si presume definitivo non può passare per una burletta. La credibilità di una persone, e di un’istituzione, passa anche da lì. Detto ciò, se davvero, come si è evinto, Mancini mirava a farsi respingere le dimissioni, viene a cadere l’accusa di avere lasciato la Nazionale solo per accettare la vociferata e opulenta offerta della federcalcio saudita. Dovesse il tecnico finire in Arabia, si tratterebbe di una conseguenza, non di una causa.
Le ragioni dell’addio
Qui entrano in campo la Figc e Gravina. Mancini, assistito dalla moglie che ne cura gli aspetti legali e contrattuali, avrebbe voluto l’eliminazione di una clausola che ne avrebbe previsto l’esonero in caso di mancata qualificazione a Euro 2024. Richiesta legittima, così com’è anche legittima la posizione di chi non avrebbe voluto toccarla. L’ex ct non si sarebbe sentito tutelato, ma si tratta di un casus belli piuttosto debole. Gravina, con tempistiche invero discutibili, aveva rinnovato il contratto a Mancini nel maggio 2021, prolungandolo sino al 2026. Dieci mesi più tardi la Nazionale avrebbe fallito la qualificazione al Mondiale, e tutti (ct e presidente federale) sarebbero rimasti ai rispettivi posti.
La decisione di cambiare lo staff di Mancini definendo il nuovo “progetto tecnico del Club Italia” è stata comunicata dalla Figc il 4 agosto. Per intenderci: cambiare lo staff (per quanto in scadenza) di un allenatore in carica è un atto difficilmente scusabile. Semplicemente, a meno di gravi motivi (che non sussistevano), non si fa. Eppure il ct, che in quella data era stato anche nominato coordinatore tecnico di under 21 e Under 20, non ha saputo o voluto imporsi, ed ecco così rimanere il solo Salsano e passare a incarichi minori Evani, Nuciari, Lombardo e Di Salvo. Al di là delle integrazioni dei volti nuovi, è però oggettivamente impossibile non domandarsi come mai Mancini non abbia alzato la voce, o non si sia dimesso, già allora.
Tocca a Spalletti
Malessere, tradimento, fiducia (intesa come mancanza di): a seconda della campana, sono tre dei termini più utilizzati nelle cronache degli ultimi giorni, ma l’aspetto in realtà più disarmante è la totale incapacità di comunicare che l’intera vicenda veicola. L’assenza di chiarezza, poi, è un altro tratto peculiare di una vicenda che ha tratti anche grotteschi, ma racconta bene lo stato dell’arte a livello federale. Dal primo settembre toccherà a Luciano Spalletti il ruolo di ct. Il contratto è sino al 2026. Buona fortuna…