Perché questo articolo ti dovrebbe interessare? Ha fatto scalpore il caso di un agente di polizia penitenziaria sottoposto a un test psichiatrico per capire il suo orientamento sessuale. Dopo aver fatto ricorso al Tar del Piemonte, ha ottenuto un indennizzo di 10 mila euro. A risarcirlo sarà il Ministero della Giustizia. Una vicenda che ricorda la triste epoca del Lavender Scare negli Usa degli anni Cinquanta
L’esame psichiatrico è stato richiesto dopo una segnalazione – risultata falsa – da parte di due detenuti del carcere dove l’agente lavorava. Il suo orientamento sessuale è stato strumentalizzato per metterne in dubbio le qualità professionali e l’idoneità al lavoro. L’amministrazione penitenziaria, ricevute le segnalazioni, ha richiesto la perizia “per fare chiarezza sulla sua personalità”. Dichiarazione ritenuta dal Tar “arbitraria e priva di fondamento giuridico oltreché tecnico-scientifico”.
La richiesta da parte del carcere è stata fatta due anni fa circa. La commissione medica ospedaliera di Milano, che ha analizzato la sua idoneità al servizio, non ha contestato le sue capacità lavorative, ma l’agente ha dichiarato di essere stato discriminato e isolato al lavoro.
Persone LGBTQ+ discriminate al lavoro
In Italia le discriminazioni in campo lavorativo per le persone LGBTQ+ (o che si ipotizza siano tali) non sono affatto infrequenti. Secondo uno studio di Istat e Unar in merito – Discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ del 2023 -, il 41,4% delle persone lesbiche, gay e bisessuali incontrano svantaggi in campo lavorativo, perché discriminate per via del loro orientamento sessuale. La percentuale di chi ha subito microaggressioni sale tra il 70% e l’80%, a seconda dell’identità di chi le subisce. Secondo le ricerche di Unar, Arcigay e MIT (Rights at work del 2014, il report più recente), invece, il 45% delle persone trans si vede respingere la propria candidatura lavorativa per via dell’identità di genere.
Il tentativo dell’amministrazione penitenziaria di mettere in discussione ed eventualmente licenziare l’agente per via del suo orientamento sessuale è una vera e propria criminalizzazione – in campo lavorativo – della queerness, reale o ipotizzata.
L’omosessualità è mai stata un reato?
Al momento sono 66 i Paesi al mondo in cui l’omosessualità è un reato. Tra essi: Qatar, Senegal, Tunisia, Papua Nuova Guinea, Marocco, Pakistan ed Egitto. Le pene vanno da pochi anni a decenni di reclusione e contemplano anche la pena di morte.
E in Italia? Non c’è mai stata una legge che criminalizzasse l’omosessualità. Essere gay, lesbica o bisessuale non è mai stato un crimine nel nostro Paese.
C’è stato un tentativo di aumentare la repressione verso le persone omo/bisessuali nell’agosto del 1927, che però si è concluso con un nulla di fatto. Il Corriere della Sera diede una notizia shock, pubblicando i lavori preparatori del nuovo codice penale, in cui si prospettavano 5 anni di carcere per chi fosse colpevole di relazioni omosessuali.
Il progetto annunciato sul Corriere non è stato però messo in pratica. In Italia non c’è mai stata una legge specifica sul tema, anche sulla base della (falsa) convinzione che “in Italia sono tutti maschi”, come diceva Mussolini.
Chiaramente le discriminazioni di stampo istituzionale non sono mancate nella storia contemporanea, soprattutto grazie all’aumento di altre forme di sanzioni che nei decenni hanno reso le persone queer vulnerabili.
Parallelismi con il Lavender Scare
Il caso dell’agente penitenziario non può non ricordare la persecuzione sistemica – soprattutto in campo lavorativo – che avvenne negli USA negli anni ’50. È il cosiddetto “Lavender Scare”, un periodo di astio omofobo, che si è concentrato sul licenziamento di persone LGBTQ+ dai ruoli governativi.
I funzionari governativi temevano che gli individui omosessuali fossero vulnerabili al ricatto e consideravano l’omosessualità come un rischio per la sicurezza nazionale. Questa persecuzione ha portato al licenziamento di migliaia di persone LGBTQ+ da lavori governativi e ha alimentato la discriminazione e la segregazione nella società americana.
Molte persone queer hanno subito gravi conseguenze psicologiche a causa della discriminazione e dell’isolamento sociale durante questo periodo. Molte si sono trovate senza lavoro, ostracizzate dalla famiglia e dalla comunità e hanno vissuto in un clima di paura costante. Alcune si sono suicidate a causa delle pressioni e delle difficoltà.
Per capire se i sospettati fossero omosessuali, si usavano strategie in qualche modo simili a ciò che è stato proposto all’agente penitenziario che ha poi fatto ricorso al Tar. Durante il Lavender Scare, le autorità ricorrevano all’interrogatorio su relazioni personali, vita privata e frequentazioni, nonché all’osservazione di comportamenti considerati disordinati, effeminati (per gli uomini) o troppo maschili (per le donne). Le persone sospettate venivano talvolta sottoposte a test psicologici, come il Test di Rorschach, nella speranza di individuare segni di omosessualità.
Inoltre le forze dell’ordine spesso si basavano su informatori e denunce anonime per identificare e perseguire le persone LGBTQ+. Tuttavia molte di queste segnalazioni e metodi erano basati su stereotipi e pregiudizi, esattamente come nel caso di cronaca recente. Quasi un salto all’indietro nel tempo che mostra il forte stigma omofobo che resta acceso nella società.