Diversi fatti di cronaca recenti, come quello di Paderno in cui il figlio ha ucciso papà, mamma e fratellino, hanno sollevato paure e molte domande sul rapporto tra genitori e figli, ma anche sul periodo delicato dell’adolescenza. Lo psicologo Claudio Boienti racconta perché vicende come quella di Paderno Dugnano ci fanno paura e perché, se gli adolescenti si comportano da adolescenti, i genitori invece vanno in un’altra direzione.
“Se un figlio uccide la sua famiglia, anche il mio può farlo?” E’ la spaventosa domanda che sarà passata per la testa di tanti genitori dopo che, nelle ultime settimane, si sono verificati casi sanguinosi di cronaca con protagonisti alcuni adolescenti. Un diciassettenne che ha ucciso i genitori e il fratellino a coltellate a Paderno Dugnano, nel Milanese. Un altro che, nel Cagliaritano, ha accoltellato il padre dopo un litigio ed è stato coperto dalla famiglia. Un ragazzo poco più grande che, a Macerata, ha fatto lo stesso e ha tentato il suicidio. Chi si imbatte in queste notizie, specie se genitore, si domanda: “Cosa passa per la testa di questi ragazzi?” e, peggio ancora: “Anche mio figlio potrebbe uccidermi?”.
True-news.it ne ha parlato con Claudio Boienti, psicologo clinico che opera nell’ambito della valutazione, diagnosi e terapia delle principali problematiche psichiche sia dell’infanzia che dell’adolescenza e dell’età adulta. Il dottor Boienti spiega perché fatti criminosi come quello di Paderno Dugnano spaventano gli adulti, ma anche come affrontare in famiglia temi di questo tipo e perché la vera crisi di questo periodo riguarda i genitori, non tanto gli adolescenti.
Elettra che uccise Clitemnestra; Caio e Bruto che uccisero Giulio Cesare. I figli che si macchiano dell’omicidio di famigliari esistono dai tempi dei miti e della storia antica o è un aspetto cresciuto in questi ultimi anni?
Gli omicidi all’interno dei nuclei familiari rappresentano una grande percentuale degli omicidi generali che si commettono fin dal passato. Non si tratta di eventi recenti. C’è un elenco piuttosto sostenuto di situazioni in cui i giovani hanno ucciso i famigliari: quello di Pietro Maso o il delitto di Novi Ligure, per citarne alcuni che non ci siamo dimenticati.
Perché, se non ci siamo dimenticati delitti così efferati e anche molto simili a quello di Paderno Dugnano, quest’ultimo ci fa lo stesso paura, a distanza di anni dagli altri?
Per quanto riguarda gli omicidi perpetrati da adolescenti, ne siamo spaventati ancora oggi perché una notizia, specie se connotata da violenza, può creare e sollecitare una risposta emotiva da parte del singolo che preoccupa, soprattutto chi ha un figlio adolescente in casa. Si parla di risonanza immediata, ovvero di identificazione con la condizione che si va a vedere. Se ho un figlio adolescente che magari è un po’ chiuso e non parla, automaticamente identifico mio figlio con il potenziale assassino. In casi come questo non esiste il mostro, che è qualcosa lontano da noi e dalla nostra cerchia di comprensione. Qui si tratta di un figlio. Quindi c’è una condizione di identificazione diretta che spaventa molto. Se un figlio arriva a uccidere un genitore in maniera così efferata senza una storia dietro che apparentemente sia giustificativa, questo scatena delle angosce dirette. Il genitore pensa: “Se un figlio uccide, anche mio figlio può farlo”.
Leggere ovunque la stessa notizia o sentirne parlare in tv sia a pranzo che a cena può aumentare la paura?
Sicuramente i social media danno maggior risalto a certe situazioni, che ci colpiscono in maniera più preponderante. Prima queste notizie avevano una rilevanza che passava attraverso mezzi di comunicazione standard, come i giornali che dovevano essere letti volutamente. Mentre sui social tra foto e post vari c’è una ridondanza di notizie che generano una condizione di previgilanza ansiosa. La sovraesposizione di fatti di questo tipo dà la percezione non di un unico omicidio ma di un sacco di adolescenti che uccidono un sacco di famiglie.
Per via della sovraesposizione qualche giovane potrebbe essere influenzato a compiere atti simili?
Indubbiamente la rilevanza mediatica può sollecitare alcuni adolescenti, particolarmente predisposti all’agito distruttivo di certe pulsioni, a compiere atti simili, ma questo avviene per qualsiasi fenomeno che riguarda la vita umana: vedasi ad esempio le varie challenge che vengono replicate. Non abbiamo fin ad ora un dato. Di fronte a questi casi di violenza efferata non c’è stata un’ingravescenza così diretta tra episodio e altri crimini analoghi. I giovani non sono criminali. Sono sofferenti ma hanno grandi risorse.
Un genitore spaventato o preoccupato dovrebbe parlare di fatti criminosi come questi con i figli?
Indubbiamente questi fatti andrebbero gestiti in famiglia ma non bisogna avere paura o pensare di avere in casa un assassino. Quando si leggono queste notizie gli atteggiamenti più comuni sono due: o le si nega, ovvero si finge che non esistano o le si ipertrofizza. Nel secondo caso, un delitto così efferato non può essere banalizzato e generalizzato. Quando si leggono queste notizie, bisogna parlare con molta tranquillità con i propri figli capendo che quella è la storia individuale di quel ragazzo. Non che tutti i ragazzi sono possibili assassini. Ogni storia di crimini interfamigliari è personale, intima, e prima di essere analizzata devono essere guardati tutti gli elementi.
Ci sono storie che vanno dal ragazzo che uccide dopo anni di violenze subite- quindi la violenza è un atto finale di qualcosa che ha una “pavimentazione storica” nel giovane- a casi, come quello di Pietro Maso, avvenuti per futili motivi: lui voleva l’eredità per condurre una bella vita. Poi ci sono casi in cui subentra l’uso di sostanze, un elemento che non va preso sottogamba. E ci sono poi storie complicate da situazioni psichiatriche. In momenti di difficoltà i giovani possono vivere forti sentimenti di aggressività che in alcuni casi sfociano in questi eventi estremi ma tendenzialmente i ragazzi gestiscono questi sentimenti parlandone. Bisogna essere sereni nell’affrontare questi temi con i figli e, specie quando non si hanno gli strumenti per farlo, è utile rivolgersi a qualcuno che possa contribuire ad aiutarci. Le scuole che organizzano momenti di riflessione, ad esempio.
Quanto influisce il periodo dell’adolescenza nel caso di delitti efferati con autori i giovani?
Oggi l’età non conta molto perché c’è una grossa differenza tra quella cronologica e maturativa, nel senso che i ragazzi possono maturare in età diversa a seconda delle esperienze che vivono. Anni fa c’era un passaggio evolutivo determinato anche da condizioni sociali: la leva militare che a 18 anni creava un passaggio simbolico dall’età infantile a quella adulta; ma anche il discorso dell’ingresso nel mercato del lavoro, che, essendo prematuro rispetto a oggi, generava un passaggio emancipativo. Ora il passaggio adolescenziale è legato a una storia più personale.
Gli anni dell’adolescenza sono associati a un periodo difficile in cui ci si ribella, specie ai genitori. E’ così?
L’adolescenza comporta fisiologicamente un lavoro emancipativo che prevede che il figlio distrugga simbolicamente le figure genitoriali. Ovvero per emanciparsi, un pre adolescente deve separarsi dalle figure genitoriali per assolvere al processo di individuazione, cioè di formazione della propria identità come giovane adulto. Questo passaggio necessita di una rottura che prevede una parte distruttiva agita nei confronti dei genitori, in modo che simbolicamente vengano fatti fuori.
Però nei casi di cronaca che abbiamo citato i genitori non sono stati distrutti solo simbolicamente…
La situazione di rottura può avere condizioni che vanno a sovrapporsi ad altre in cui l’agito distruttivo non rimane solo a livello simbolico ma viene anche esplicitato con atti di violenza, fino ad arrivare anche a casi estremi come quello di Paderno Dugnano. Si tratta di casi isolati rispetto alla totalità degli adolescenti. Chiaramente non vanno sottovalutati ma nemmeno ipertrofizzati. Ci sono migliaia di adolescenti che agiscono le loro parti distruttive senza farlo in maniera così violenta. Per cui bisogna stare attenti a non generalizzare, perché gli adolescenti sono ragazzi che stanno male in questa fase della loro vita. Non sono il male, ma stanno male.
Lo vede anche nei suoi giovani pazienti?
Sì. Oggi il tema più rilevante, che riscontro in tanti pazienti, è la grande sofferenza autorivolta. Lo star male prevede spesso livelli di autodistruzione depressiva che porta di più gli adolescenti a far male a loro stessi che all’altro. Inoltre, l’avvento dei social ha creato una discontinuità di modelli, si parla di disintermediazione. Prima gli adulti erano gli intermediari diretti del bambino che cresceva, oggi i social offrono una serie di figure di valore, ma anche di grande disvalore. I ragazzi fanno prima ad avere un modello virtuale che reale come può essere il genitore o, ad esempio, l’allenatore sportivo.
Come può un genitore aiutare un giovane che vive questo momento delicato dell’adolescenza?
Facendo il genitore. L’adolescente fa un percorso rispetto a temi evolutivi ed emancipativi più o meno complessi che non è molto mutato nel corso degli anni ma è cambiato il sistema educativo e sociale in cui questo percorso va a espletarsi. Gli adolescenti fanno gli adolescenti ma è cambiato come ci arrivano all’adolescenza e come questa viene gestita. La vera crisi di questo complesso momento storico e sociale che stiamo vivendo è quella genitoriale.
Crisi genitoriale? In che senso?
Siamo noi adulti impreparati a gestire gli adolescenti perché siamo stati probabilmente impreparati a gestire anche la loro infanzia. Le generazioni di adulti di oggi sono in crisi di identità, spesso non riescono a fare gli adulti e vivono l’educazione basata di frequente sul senso di colpa: si tende a iper-proteggere, iper-giustificare e a togliere elementi frustativi dall’infanzia. Non vogliamo che i bambini soffrano perché vedere la loro sofferenza riverbera in noi un dolore che non vogliamo sentire. Io soffro nel vedere qualcosa che sta facendo star male mio figlio e, nonostante quel dolore sia assolutamente costruttivo, tendo a sostituire o a togliere la frustrazione di mio figlio solo perché mi nuoce. Invece bisognerebbe comprendere che questa sofferenza andrebbe tollerata e contenuta in modo da lasciar che il figlio viva un momento frustrativo che generi una condizione di crescita. Un figlio che sta male, sta imparando a gestire una complessità di emozioni fondamentali per affrontare la vita adulta. Servono genitori in grado di accompagnare il bambino a vivere le frustrazioni.
Quali sono i comportamenti che l’adulto dovrebbe evitare di mette in campo?
Evitare di assecondarli in tutto. Li si gratifica sempre. Fin dalle elementari oggi sono bambini onnipotenti. Sono bravissimi, fanno tutto benissimo, anche quando in realtà andrebbero messi su un piano di realtà. Inoltre sono stati tolti tutti i riti iniziatici. Il militare, gli esami alle elementari, le bocciature, gli esami a settembre che diventano un elemento quasi che va calibrato. C’è l’idea che i figli vadano preservati da qualunque elemento frustrativo ma quando arrivano al passaggio adolescenziale che comporta una grandissima gestione di questi elementi, alcuni ragazzi non riescono a gestire la discontinuità. Un esempio piuttosto recente è quello del caso di Ferrara: un ragazzino si era buttato da una finestra dopo aver preso 4 in matematica. E’ assurda la criminalizzazione che è stata fatta dell’insegnante. Dove non hanno una gratificazione immediata, gli adolescenti distruggono e questo purtroppo è un problema gravissimo dei nostri tempi che però non riguarda direttamente l’adolescente ma il genitore o chi gestisce il bambino. L’adulto è spaventato nel gestire il figlio. Bisognerebbe che avesse il coraggio di fare l’adulto ed esserci, amando ma essendo capace i dire no e di opporsi a scelte evidentemente disfunzionali.
Secondo lei, per concludere tornando ai casi isolati da cui siamo partiti, un adolescente che si macchia di un delitto può essere aiutato o non c’è più spazio per lui nella società?
I delitti commessi in età così giovane possono portare a un discorso di elaborazione positiva dell’accaduto. Questa possibilità c’è nei ragazzi giovani perché gli anni successivi al reato commesso li passano in istituzioni in cui si fanno lavori di rielaborazione che porta a una revisione di quanto accaduto e a una possibilità di “guarire”, per così dire.