No, il brunch non è più di moda. Non fa più figo chiamare l’amica, il collega, la moglie e persino l’amante per invitarli ad un fighissimo brunch della domenica, dove puoi mangiare tutto ciò che vuoi. Quel miscuglio di colazione e pranzo che per tanta parte degli anni 2000 l’ha fatta da padrone anche a Milano, dove – si sa – le mode arrivano prima. E così pure questa usanza del mondo anglosassone, rinvigorita e ampliata nell’America delle fettuccine Alfredo, è arrivata prima sotto la Madonnina che nel resto d’Italia, colonizzando tutti i quartieri: da Brera ai Navigli, da Porta Venezia all’Isola.
Tutto incluso tranne le bevande? Anche basta, grazie
Non poteva essere altrimenti, in fatto di trend i milanesi non vogliono essere secondi a nessuno e così era stato un fiorire di ristoranti, bar e chioschi vari che per il week end proponevano il brunch “tutto incluso tranne le bevande”, come a Firenze si propone il menù turistico. Per anni non c’è stato ristoratore che non abbia voluto aggiungere qualcosa al buffet festivo per differenziarsi dalla concorrenza (una volta ho visto anche le caramelle gommose come se fossimo al cinema).
Ma le mode sono passeggere. E mentre ancora resistono i famigerati pantaloni con il risvoltino che arriva quasi al ginocchio, possiamo festeggiare la lenta scomparsa di quei grandi buffet più o meno dozzinali dove venivamo tutti obbligati a farci strada tra gli altri commensali per agguantare un po’ di uova strapazzate con due fettine di bacon croccante, un pezzo di parmigiana rivisitata per darle un tocco glamour e qualche pancake con sciroppo d’acero per sentirci internazionali (anche se poi dietro la frutta fresca non mancava mai una bella forma di Grana Padano). A secondo poi del ristorante il livello del brunch variava molto, classificabile in una scala che va da Bulgari a viale Monza.
Ma il brunch è (stato) anche un esercizio democratico
Il brunch ha rappresentato anche un esercizio democratico: dalla sciura che voleva imitare Muccia Prada al giovane manager, dallo studente bocconiano al fricchettone, tutti si sono dovuti mettere in fila per arrivare velocemente ai fritti appena usciti dalla cucina prima che il solito ingordo li finisse, ovviamente con la scusa che li stava prendendo anche per gli amici rimasti al tavolo. Una rivisitazione della fila in una mensa scolastico-operaia che nessuno sano di mente avrebbe voglia di infliggersi consapevolmente. La moda, però, è anche questo: se tutti vanno al brunch ci vado pure io, anche se è come camminare con i tacchi per la prima volta mentre sei sul pavé.
Quindi, dicevamo, addio finalmente alle gomitate per arrivare al tavolo dei dolci come fossimo dei lanzichenecchi in treno con Alain Elkann: possiamo tornare a sederci per un più classico e borghese pranzo della domenica, che ci ricorda più la casa della nonna che un ritrovo hipster. Sentiamo già il sospiro di sollievo di chi finalmente può mangiare senza alzarsi da tavola per prendere un rinforzino di pasta e può chiamare educatamente il cameriere, senza nascondere quella punta di snobismo che in fondo al milanese, soprattutto d’adozione, piace.
Brunch a Milano: i locali che resistono
Certo, qualche brunch di classe rimane, da quelli negli hotel di lusso (come Four Seasons o Chateau Monfort) a quelli storici che resistono ai cambiamenti (da Fonderie Milanesi al Fuorimano OTP, passando per le new entry come il Caciara di via Tadino). La verità però è che sempre di più, si sta lasciando la colazione al caffè del mattino, senza mischiarla con troppi ingredienti.
Sicuramente tra i ristoranti del momento per un pranzo festivo – per chi vuole coccolarsi e spendere molto – c’è il ristorante dell’hotel Portrait Milano, tra Corso Venezia e Sant’Andrea, seguito dal sempre verde Penelope a casa, in zona Porta Romana. Ma la ristorazione a Milano è come la coda del Plastic, cambia sempre e non sai mai quale è il posto migliore: l’unica soluzione è provare, magari seguendo il passaparola degli habitué.