Perché leggere questo articolo? Chiara Ferragni e il fuggi fuggi generale dei brand che ora fanno a gara a chi la rinnega prima: un ridicolo teatrino.
Chiara Ferragni non si riprende. Certi che non faticherà comunque ad arrivare a fine mese, la situazione per la (fu?) regina di Instagram si fa sempre più impicciata. La sua credibilità è oramai inferiore a quella di una banconota da 3 euro, gli sponsor fanno a gara a chi la rinnega più velocemente. L’ultimo della lista è Pigna, marchio che l’ha scaricata a mezzo stampa. Addirittura prima di comunicarlo alla diretta interessata, lamenta lei, in una nota arrabbiatissima (emoji del faccino rosso, quello contrariato assai). Mentre assistiamo al fuggi fuggi generale, perfino un hotel in mezzo ai monti si è trovato “costretto” a cancellare dal feed le foto del soggiorno ferragnico causa troppi improperi nei commenti, sale una certa amarezza. Ci si para davanti, infatti, la classica situazione in cui torto e ragione sono concetti astratti, non ascrivibili a nessuno dei coinvolti. Il più pulito c’ha la rogna? Il più pulito c’ha la rogna. Andiamo, con coraggio, a dragare pure questo ennesimo abisso…
Chiara Ferragni che le tenta tutte per pietire cuoricini social
Chiara Ferragni, dopo lo scoppio dell’affaire pandoro Balocco, ha assoldato una task force di espertoni di comunicazione (lei non dovrebbe esserlo già di suo?) per pararsi le terga. Terga che, attualmente, non risultano però paratissime. La nostra, infatti, sta affrontando un calo di popolarità inaudito che la porta, tra le altre cose, a disattivare i commenti su Instagram un giorno sì e l’altro pure. Troppi insulti e maleparole al suo indirizzo. Questo nonostante si applichi a postare soltanto foto dei pupi Leone e Vittoria che, in teoria, dovrebbero irradiare tenerezza in follower e meno follower. Manco per niente. L’affaire Balocco (e conseguenti sciagure) non accenna a sgonfiarsi, mentre aumentano le inchieste per truffa aggravata.
Lei non sa che pesci pigliare, non può più appigliarsi nemmeno al vittimismo, ai rosiconi, a Selvaggia Lucarelli che le rema contro. Intanto, va a Portofino con figli, sorelle e mammà lasciando il poro Fedez sa solo a festeggiare il compleanno del padre, Franco. Niente nipotini alla festicciola casalinga, dunque. E i social si interrogano su una possibile crisi di coppia tra la royal couple de noartri. Sì, di nuovo. La solita menata. Anche a sforzarsi, non si intravede più nulla di interessante sulle derive dei Ferragnez. Una resurrezione, almeno per il momento, è da escludersi.
Chiara Ferragni, il penoso fuggi fuggi dei brand che ora la rinnegano
Nell’attualmente mestissimo scenario ferragnico, ecco distinguersi, non certo come migliori in campo, gli sponsor che stanno sostanzialmente facendo a gara a chi la molla più velocemente. Ultimo della lista, il marchio Pigna che sbologna Chiara Ferragni trovandola oggi non consona al “codice etico” dell’azienda. Se i sospetti di beneficenza truffaldina non sono certo poca cosa, viene da chiedersi dove sia stato, finora, il sacro rispetto dei brand verso questo “codice etico”. E dove si trovi pure adesso, in realtà. La parabola discendente dell’ape regina, infatti, dovrebbe portare chi ha investito in lei a scoperchiare un gigantesco vaso di Pandora, ponendosi una semplice domanda: non è che fino a ieri l’altro abbiamo riempito di dobloni un sacco di gente per niente?
Soffermiamoci su un fatto importante, per quanto passato in sordina: negli atti della Procura, si legge senza mezzi termini che di quei famigerati pandori Pink Christmas fossero rimaste copiose giacenze (tutte andate al macero). In che senso, giacenze? Il costosissimo faccino di Chiara Ferragni, la più seguita di tutti, non garantisce faraonici sold out? A quanto pare, no. E se non ci riesce lei, come potrebbero farcela pure tutti gli altri strapagati “testimonial” scelti in virtù del numero di K? Scaricare Chiara Ferragni e tenersi il resto della combriccola è continuare a credere in una bella bugia auto-indotta. E a sborsare danari che, in fin dei conti, forse sarebbe meglio destinare a chi, pur senza K, lavora “davvero”.