Home Stories Da Chiara Ferragni al podio maschile: il femminismo a Sanremo è stato un copricapezzolo

Da Chiara Ferragni al podio maschile: il femminismo a Sanremo è stato un copricapezzolo

Femminismo a Sanremo

Femminismo. Tutti ne parlano, convinti che basti acquistare una maglia con due capezzoli disegnati sopra per dirsi parte della lotta. Ebbene, no. Eppure, questo è il messaggio principe che perfino il Festival di Sanremo ha voluto convogliare ai milioni di telespettatori a casa. Complice la presenza della regina dei social Chiara Ferragni, con vestiti discutibilissimi ma intenzionati a ispirare empowerment forse vista l’incapacità della proprietaria di sganciarne almeno un vago afflato, abbiamo assistito in mondovisione al cementarsi del femminismo da social, una bolla d’aria nel mare del problema, una roba che, per amor di metafora, nell’abbondantissima tetta esposta che è la questione femminile, si pone come un copricapezzolo. E allora sì che la battaglia #FreeTheNipple acquista finalmente un senso.

Femminismo a Sanremo: un copricapezzolo sulla tetta del problema

È stato il Festival delle tettine. Eccezion fatta per la burrosa Chiara Francini, le co-conduttrici Ferragni, Egonu e Fagnani hanno sfoggiato un décolleté bonsai. E tutte l’eleganza che ne è conseguita. Già solo scrivendo queste due righe, si sottolinea uno dei più grandi fallimenti rispetto alla tanto auspicata parità di genere: avete mai letto un commento sull’outfit di Gianni Morandi? Amadeus con le sue giacche estrose diventa subito meme, certo, ma questo tipo di ricezioni sono ben diverse da quelle che si abbattono puntualmente sulle donne che calcano il palco dell’Ariston. Se una arriva lì, il vestito che porta precede, quando non sovrasta, i suoi contenuti. Forse non è poi così un male, dopotutto, considerata la povertà dei suddetti “contenuti”. A parte la sempre mirabile Francesca Fagnani che ha voluto portare in mondovisione il problema sociale delle carceri minorili, tutte le altre non hanno potuto fare a meno di parlare di se stesse dando l’idea di non conoscere argomento più interessante. E di non saper oramai più campare al di fuori di Instagram, ossia nella realtà fattuale.

 

Femminismo a Sanremo: moriremo di storytelling (egotico e/o patriarcale)

Moriremo di storytelling, è cosa nota. Come anche che lo stesso storytelling possa essere ottimo strumento per coinvolgere l’attenzione di chi ascolta, suscitando empatia. Allo stesso tempo, i messaggi mandati dalle donne co-conduttrici sono stati di una grettezza rara: abbiamo visto Ferragni lodarsi e imbrodarsi leggendo una lettera (“Se l’è scritta tutta da sola!”, hanno commentato entusiasti Morandi e Amadeus) alla Chiara bambina, in cui le premeva di dirsi che un giorno ce l’avrebbe fatta. Questo nonostante le insicurezze “tipiche di ogni donna” (di ogni persona, no?) che l’avrebbero falcidiata durante il percorso verso il traguardo e pure dopo.

Francini, invece, ha messo su un monologo, molto apprezzato, sulla maternità mancata e sul sentirsi “una donna di merda” per non aver avuto figli. In tante hanno apprezzato, ritrovandosi nelle sue parole. Parole che, verso la conclusione, hanno assunto più i contorni di una messa domenicale, zona omelia. Perché se è vero che il citato “senso di colpa” per non aver figliato esiste, sarebbe stato urgente precisare che si tratta di un retaggio culturale antiquato, da superare. Come unica soluzione, invece, Francini ha proposto la convivenza con lo stesso, praticando sorrisi falsi verso le amiche mamme pancine salvo poi tornare a casa ferite nell’anima per non aver (mai avuto) nessun bimbo-trofeo da sfoggiare ai giardinetti. E buon 1930!

Femminismo a Sanremo: la sterile polemica sul podio al maschile

Di femminismo non si muore. Però ci si annaspa eccome. Dimostrandoci ancora una volta incapaci di badare ai contenuti, ne abbiamo fatto una questione di matematica. Pure durante il Festival di Sanremo. Grande è stata l’indignazione per il fatto che tra i primi cinque finalisti, quelli che si sarebbero giocati la vittoria, non comparisse nemmeno il nome di una donna. Urge qui notare, lasciando il tempo che tale considerazione trova, che per sala stampa e demoscopica, Giorgia sarebbe risultata tra i Fab 5. È stato il televoto a lasciarla fuori. Il televoto è, dunque, patriarcale? Lo è la “democrazia”? Per cortesia…

Aberrante sarebbe, ma magari ci arriveremo presto o tardi, immaginare l’obbligo di dover votare necessariamente un candidato maschile e una femminile, così da aiutare la categoria svantaggiata a cui appartengono per natura le donne. Come se almeno un gradino del podio ci fosse dovuto per via di ciò che in mezzo alle gambe portiamo. Si votano le canzoni, bimbi. E purtroppo quest’anno le voci femminili non hanno portato pezzi da primi ascolto, per usare un eufemismo. Sarà per la prossima.

Femminismo a Sanremo: quando una boutade cretina supera il sociale

Invece di questo malsano attaccamento alle percentuali, sarebbe stato bello svegliarsi in un Italia dove all’indomani della seconda serata del Festival, tutti ci saremmo ritrovati a parlare del monologo di Francesca Fagnani sulle condizioni delle carceri minorili nel nostro bel Paese. E invece no, non c’è stato cristiano (o testata) che non avesse sulla bocca il nome di Angelo Duro, protagonista di 15 infausti minuti di “comicità” totalmente irrilevante durante i quali, però, aveva suggerito ai mariti di andare a professioniste una/due volte al mese per mantenere saldo il matrimonio. Una stupida provocazione che è valsa, purtroppo, ben più delle storie di vita vere dei ragazzi di Nisida. Però che profondo senso di empowerment vedere Ferragni con un vestito-armatura placcato d’oro, che donna, che combattente, signora mia! Il femminismo in Italia, purtroppo, è ancora negli occhi di chi guarda. Non certo in quelli di chi pensa.