Home Primo Piano “Francesco è l’antipapa”: l’istanza per dichiarare illegittime le dimissioni di Ratzinger

“Francesco è l’antipapa”: l’istanza per dichiarare illegittime le dimissioni di Ratzinger

“Francesco è l’antipapa”: l’istanza per dichiarare illegittime le dimissioni di Ratzinger

Perchè leggere questo articolo? Andrea Cionci torna a chiedere “per il bene della Chiesa” che siano dichiarate nulle le dimissioni di Ratzinger. Fantacattolicesimo, ovviamente. Ma il tema intriga i teologi

(di Sallustio Santori)

A volte, nella vita, siamo convinti che la realtà sia quella che noi auspichiamo e non quella che essa realmente è. Uno di questi è Andrea Cionci che, da oltre un decennio, tempesta il mondo cattolico sostenendo che Benedetto XVI non si sarebbe dimesso validamente ma abbia, invece, pubblicamente dichiarato la Sede impedita e, di fatto, paralizzato la vita della Chiesa. Perché? Perché non si sa, si può solo intuire: cioè beh sì ecco il Papa lo ha fatto perché c’era un complotto contro di lui. Invece i cardinali hanno arbitrariamente tenuto un Conclave eleggendo un antipapa, cioè Francesco, che da allora regnerebbe illegittimamente con atti nulli sulla Chiesa. Tra questi atti nulli c’è anche la nomina dei giudici del Tribunale Vaticano al quale Cionci ha annunciato di rivolgersi “per il bene della Chiesa e del Papato” presentando istanza per la dichiarazione di nullità delle dimissioni di Joseph Ratzinger. Queste sarebbero le sue motivazioni:

Fin da subito, il docente di diritto canonico Don Stefano Violi, sulla Rivista Teologica di Lugano del febbraio 2013, aveva eccepito la mancata rinuncia al munus petrino che è richiesta dal canone 332.2 sull’abdicazione del Papa: “Nel caso che il romano pontefice rinunci al suo munus (ufficio) si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti”. Il munus è quell’incarico che Dio stesso conferisce al papa affinché venga da lui svolto con un servizio, detto ministerium.

Papa Ratzinger ha dichiarato invece che avrebbe rinunciato al solo ministerium, il potere di “fare il papa”. Questo è l’”errore sostanziale” della dichiarazione: manca proprio l’oggetto a cui il Papa doveva rinunciare per una valida abdicazione, cioè il munus e, secondo il canone 188, la rinuncia compiuta in modo erroneo è nulla e invalida, cosa confermata anche dalla costituzione Universi Dominici Gregis (artt.76-77)”.

Il misterioso, presunto, codice di Ratzinger dimissionario

Questa mossa, cioè, è stata fatta per “mettere in sicurezza” la Chiesa. E quindi? Ratzinger è morto e non è stato convocato alcun conclave. Di più: nel dimettersi, Benedetto aveva detto: “Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice”. Cioè: il diretto interessato ha detto di essersi dimesso, la questione è chiusa. E ha pure convocato il Conclave per l’elezione del successore, a cui Benedetto aveva promesso obbedienza. Cionci invece sostiene che questo sarebbe un misterioso “codice” con cui il Papa emerito avrebbe lanciato una serie di messaggi in bottiglia verso il mondo esterno.

Ora, Fabio Massa dice che gli piace la gente che, invecchiando, perde ogni remora e quindi dice la sua. Piace anche a me questa gente, per cui dico: è fantacattolicesimo.

Munus e ministerium sono la stessa cosa…

Don Rosario Vitale, canonista che scrive su voxcanonica.com, tre anni fa aveva spiegato:

“Altro mito da sfatare, è la polemica, senza senso, di alcuni che asseriscono che Benedetto XVI abbia volutamente rinunciato al ministerium e non al munus, in altre parole avrebbe rinunciato a fare il papa e non all’essere papa.

Questa distinzione che non risulta applicabile per la figura del Romano Pontefice trova invece accoglimento in Lumen gentium, laddove distingue tra munus ed esercizio della potestas in materia di ufficio episcopale. Questa distinzione nell’ufficio episcopale si fonda sulla duplicità della trasmissione del potere: sacramentale, quanto all’ordine sacro e alla consacrazione episcopale che su quello si fonda (munus); e giuridica, quanto al conferimento della missione canonica e la conseguente libertà nel suo esercizio (ministerium – potestas).

In forza della suddetta distinzione tra potestas ordinis e potestas iurisdictionis, si ammette la figura del vescovo emerito, il quale, perduta la potestas iurisdictionis conserva il munus episcopale che era stato trasmesso per via sacramentale, non più libero tuttavia nell’esercizio dopo l’avvenuta rinuncia. Volendo semplificare il tutto, pensiamo a un padre che, raggiunti gli ottant’anni non ha più la forza per fare il padre, quindi per occuparsi fattivamente dei figli, pur non occupandosene più rimane comunque padre, il suo essere padre non viene meno per il solo fatto di non esercitarne più il ruolo.

Possiamo dire quindi che la ratio che ha motivato la previsione legale del canone 185 [3] del vigente Codice, che istituisce la figura dell’emeritato per chiunque abbia ricoperto nella Chiesa un ufficio, e poi “per raggiunti limiti d’età o per rinuncia accettata lo lascia”, la definirei “affettiva o paternalistica”, poiché non si vuol “cancellare” o dimenticare quella parte di vita spesa in quel determinato servizio e che al quale, in qualche maniera, vi si rimane legati seppur nominalmente, anche se privi del munus regiminis a quell’ufficio connesso. In ultimo, non è possibile dunque, nella figura del Romano Pontefice, distinguere il munus dal ministerium.”

Dimissioni di Benedetto: nessuna gabola, trappola o artificio

In altre parole: nel caso del Papa – in virtù del suo ruolo – dire di rinunciare al ministerium anziché al munus non è altro che usare un sinonimo, tanto che le parole si traducono entrambe come “compito, incarico”. Ma quand’anche si volesse fare questa distinzione, essa sarebbe canonicamente corretta perché il Papa è un Vescovo, segnatamente quello di Roma, e da Vescovo emerito ha agito. Non c’è dunque nessuna gabola, trappola o artificio. C’è solo un mondo che ancora oggi corre appresso a delle fole. E si rivolge ad un tribunale emanazione di quel Papato illegittimo (e dunque illegittimo a sua volta), per chiedere di dichiarare illegittime le dimissioni del Papa emerito, morto da due anni. E dopo che si fa, se i cardinali nominati da Bergoglio (99 su 137) sono illegittimi, il conclave con una trentina di cardinali “legittimi?”. Bello ‘sto fantaromanzo…

L’ira di Georg

Per finire. Monsignor Georg Gaenswein, ex segretario particolare di Ratzinger, scrive di Cionci nel suo “Nient’altro che la verità”:

“In realtà, Benedetto volle semplicemente comunicare in uno stile elegante la rinuncia a ciò che gli era stato conferito tramite l’elezione e la sua accettazione, utilizzando due sinonimi. Forse un Papa canonista avrebbe utilizzato unicamente munus. Ma Benedetto, essendo di formazione un teologo, mise anche in questo caso in campo la propria competenza: per lui, la parola munus era stata un’applicazione del Concilio Vaticano II con l’obiettivo di spiegare più precisamente il concetto dei tria munera, cioè la partecipazione di tutti i fedeli alla triplice funzione di Cristo, sacerdotale, profetica e regale.

Però il teologo Ratzinger non concordava con la tesi che rinveniva nei padri della Chiesa e anche nel Catechismo del Concilio di Trento i fondamenti della dottrina dei tria munera. Lui riteneva invece che la teologia classica fosse estranea a questa teoria, fatta sostanzialmente propria per la prima volta dal Magistero conciliare. Perciò ha privilegiato il concetto di ministerium, che invece era secondo lui la parola giusta e più forte nella tradizione teologica.

Traducendo dal latino la Dichiarazione, qualcuno ha forzato interpretazioni diverse. Ma nessuno di noi, neanche il canonista Bertone, ritenne possibili equivoci reali. In ogni caso, percependo qualche segnale di osservazioni in tal senso, nell’udienza generale del 27 febbraio Benedetto XVI chiarì ad abundantiam, utilizzando appositamente la parola “officio” con cui il Codice di Diritto canonico traduce in italiano il termine “munus”: «Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro”.