Perchè leggere questo articolo? Nessun papa può cambiare dottrina: cosa ha portato Francesco a scusarsi? Dentro la Chiesa nel frattempo la polemica monta. E c’è chi della situazione se ne duole, come padre James Martin, e chi invece ne gode. Come i lefebvriani
(di Sallustio Santori)
Per l’amor di Dio (è il caso di dire), il Papa quando parlava di frociaggine e di checche a proposito dell’ingresso in seminario di ragazzi con tendenze o apertamente omosessuali non voleva offendere nessuno. Anzi: Francesco: “Rivolge le sue scuse a coloro che si sono sentiti offesi per l’uso di un termine, riferito da altri”. E già che c’è ricorda come: “Nella Chiesa c’è spazio per tutti, per tutti! Nessuno è inutile, nessuno è superfluo, c’è spazio per tutti. Così come siamo, tutti”. In compenso, malgrado il comunicato stampa diffuso dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni il 28 maggio a botta calda, la polemica monta dentro la Chiesa. E ovviamente c’è chi ne gode non poco.
Cominciamo con i dolenti. Il primo, e più illustre, è padre James Martin, Gesuita che Jorge Mario Bergoglio ha voluto come ufficiale di collegamento col mondo LGBTQ+ e che dal suo account X non manca di postare messaggi gay friendly. Subito dopo le parole del Papa sulla frociaggine, anzi, sull’aria di frociaggine che tira nella Chiesa, ha preso il telefonino e ha vergato il seguente messaggio:
“Nel corso dei miei 25 anni da prete e quasi 40 da Gesuita, ho conosciuto centinaia di santi, fedeli e celibatari sacerdoti gay. Sono stati miei superiori, insegnanti, confessori, mentori, direttori spirituali e amici. E se siete cattolici, loro hanno celebrato la Messa per voi, battezzato i votri figli, ascoltato le vostre confessioni, visitato voi all’ospedale, presieduto i vostri matrimoni e seppellito i vostri genitori. La Chiesa sarebbe incommensurabilmente più povera senza di loro.”
E meno male che Bergoglio era gay-friendly…
Che legnata, povero padre Martin, lui che scrive sulla prestigiosissima rivista dei Gesuiti yankee, America, e in particolare è Consultore del Segretariato per le Comunicazioni della Città del Vaticano, la struttura tentacolare che sovrintende tutti i mezzi di comunicazione vaticana, dalla Rete fino alla gloriosa Radio voluta da Pio XI. Quel padre Martin che ha scritto il volume Un ponte da costruire – Una relazione nuova tra Chiesa e persone LGBT pubblicato nientemeno che dalla Marcianum Press, eminente editrice cattolica affine al Marcianum, polo accademico del patriarcato di Venezia voluto dall’allora patriarca cardinale Angelo Scola.
Pensate che nel novembre 2018 La Nuova Bussola Quotidiana, seguita testata cattolica di stampo conservatore, dedicava un profilo al gesuita americano ricordandone le parole entusiaste rivolte a proposito del Pontefice: “Guardate solo a quello che è successo negli ultimi cinque anni da quando papa Francesco è stato eletto. Per prima cosa, la risposta di papa Francesco sulle persone LGBT ‘Chi sono io per giudicare?’. Le sue cinque parole più famose erano in risposta a una domanda sulle persone gay, giusto? È il primo papa a usare la parola ‘gay’, sapete, in un’affermazione”.
Ma che bella sviolinata; e ancora: “Ha amici gay. Ha parlato del fatto che vuole che la gente gay si senta benvenuta nella Chiesa. Questo è un grosso affare. Ha anche nominato vescovi, arcivescovi e cardinali gay-friendly, come il card. Tobin l’arcivescovo di Newark, che per esempio, ha celebrato una ‘Messa di benvenuto’ per la gente LGBT in cattedrale…Così c’è una tendenza…”. Tendenza che è stata ampiamente smentita dal suo principale quaggiù (il Principale, lassù, lasciamolo stare).
Scuse e perché? Ma non è che c’è altro da parte?
Che poi uno si domanda: ma un Papa di che cosa si dovrebbe scusare? Alla fine, sia pure in modo diciamo pittoresco, ha riaffermato la dottrina della Chiesa in materia: l’omosessualità è un disordine oggettivo e come tale un omosessuale va accolto, rispettato, integrato nella comunità cristiana ma non può essere un buon sacerdote specie se non rispetta il celibato. Né, dal punto di vista del Catechismo, la Chiesa può accettare o incoraggiare l’equiparazione delle nozze gay a quelle cristiane e ritiene gli atti omosessuali come riprovevoli.
Francesco, e nessun Papa, può cambiare la dottrina. Può smussare gli angoli ma non ignorarla o stravolgerla: e chissà che non gli abbiano dato anche materiale su cui riflettere, ad esempio qualche audio o video diciamo di tipo discutibile. Materiale che potebbe aver indotto il Pontefice a dare un giro di vite pane al pane e vino al vino, nel qual caso Padre Martin dovrebbe solo tacere e incassare. Oppure la strategia comunicativa è stata condizionata dalla possibilità che le sue parole siano anche state impresse su qualche dispositivo, pronte a scatenare un ulteriore terremoto…
E i lefebvriani godono…
Come potete immaginare c’è anche chi gode di tutto questo. Sono i lefebvriani, che sul loro sito web non hanno mancato di dire la loro commentando lo scivolone papale, per l’uso di “un termine dispregiativo – per alcuni molto dispregiativo – parlando degli omosessuali durante un incontro con la Conferenza episcopale italiana”. Guardate qua:
“Un colpo di scena che lascia perplessi. Innanzitutto Francesco non nega l’uso del termine. Poi, sembra attribuire la colpa a chi ha fatto conoscere il fatto cioè all’uno o all’altro dei vescovi presenti. Del resto, è francamente inappropriato che il Papa non possa parlare davanti ai vescovi, a porte chiuse, senza che un SMS renda noto il contenuto del suo discorso. Infine, questa mini-tempesta avrà nascosto la cosa più importante: il fatto che l’opposizione all’ammissione dei candidati omosessuali nei seminari è stata chiaramente riaffermata, tanto più visibile in quanto ha beneficiato di una pubblicità involontaria”.
Da un lato, tutto sommato, pure ai lefebvriani il colpo di scena targato Bergoglio è piaciuto. Però l’insinuazione – nemmeno tanto maliziosa, diciamolo – resta: è francamente scandaloso, altro che appropriato, che un Papa non possa parlare a porte chiuse coi vescovi senza che vengano fuori indiscrezioni del genere. Una mossa per apparire “dei nostri”? O piuttosto la riprova del fatto che il pontificato del Vicario di Cristo venuto “dalla fine del mondo” ormai ha perso smalto, peso e prestigio? A voi la risposta.