Perché questo articolo ti potrebbe interessare? Il 13 gennaio c’è stato un incontro tra alcune persone queer, anche membri del Progetto Giovani Cristiani LGBT, e la presidente e il copresidente del Movimento dei Focolari per trovare un punto di incontro. Le sei proposte formulate dagli esponenti LGBT sono state tutte accolte. Si parla di stop alle terapie di conversione, scuse ufficiali e formazione. L’intervista
Derby cristiano tra Focolari e comunità LGBTQI+. Il 13 gennaio 2023 un gruppo di persone queer appartenenti anche al Progetto Giovani Cristiani LGBT e, contemporaneamente o negli anni passati, al Movimento dei Focolari ha incontrato la presidente del Movimento Margaret Karram e il copresidente Jesús Morán per un dialogo su fede e comunità LGBT. Il primo è una rete nazionale di persone cristiane e queer, che si divide poi in sottogruppi locali disseminati su tutto il territorio italiano (in tutto 45). Il secondo, conosciuto anche come Opera di Maria, è un movimento internazionale di rinnovamento spirituale e sociale di stampo cattolico. Alcuni dei suoi membri – soprattutto in alcune regioni, come la Lombardia – sono vicini alle posizioni più conservatrici, incoraggiando anche le terapie di conversione o riparative.
Per capire com’è andata e la portata del dialogo tra gruppi spesso agli antipodi, abbiamo intervistato Edoardo Zenone, tra i promotori dell’incontro.
Com’è nata l’idea di questo momento di confronto tra posizioni che solitamente sono viste come lontane e inconciliabili?
Un anno fa mi sono sentito con Luana Gravina del Progetto Giovani Cristiani LGBT e abbiamo parlato di cosa abbiamo vissuto all’interno del Movimento dei Focolari, visto che entrambi ne avevamo fatto parte. Da lì è nata l’idea di incontrarci anche con altre persone che hanno vissuto la stessa esperienza. Ci siamo confrontati e abbiamo notato che c’erano molti punti in comune. Da un lato la nostalgia di appartenere a un movimento mondiale, dall’altro l’esigenza di essere reali, di vivere la nostra identità come persone queer. Ci siamo detti: proviamo a scrivere una lettera al Movimento non accusatoria ma con l’obiettivo di dare il via a dei cambiamenti positivi, per creare una realtà migliore per noi e per chi viene dopo.
Quindi avete redatto questa lettera. Com’è arrivata ai vertici del Movimento? E com’è stata accolta?
È stata una mossa un po’ inusuale per il Movimento. L’abbiamo pubblicata online con un forum di Google per affrontare la tematica in ottica di dialogo. Abbiamo raccolto 259 firme da tutto il mondo: dall’Europa dell’Ovest al Sudamerica, dal Burundi al Congo e alle Filippine. Non ci aspettavamo tutta questa condivisione di esperienze. Ci hanno scritto persone consacrate che negli anni ’60-’70 hanno fatto parte del Movimento, genitori di persone LGBT, persone LGBT stesse e via dicendo. Tutti hanno detto di voler continuare a vivere il carisma dell’unità ma sono stati messi davanti a una scelta: o sei eterosessuale o sei fuori. Questo bivio spesso non è comunicato in modo diretto, ma spesso velato. Semplicemente non sei più invitato agli appuntamenti e sei messo ai margini. A molti sono state proposte delle terapie di conversione, chiamate “di reindirizzamento all’eterosessualità”.
Nella lettera scriviamo infatti: “Questo cammino che a volte è facile ma molto più spesso incontra varie difficoltà per alcuni di noi è sempre stato un po’ più arduo a causa dell’orientamento affettivo/sessuale. La difficoltà di non poter davvero condividere appieno tutto, di dover sempre indossare una maschera con la propria unità, con il proprio nucleo, ha portato alcuni di noi ad allontanarsi dall’Ideale. O, talvolta, ad essere allontanato”.
Cosa avete fatto di tutte queste testimonianze?
Abbiamo raccolto tutto, abbiamo stampato in un libretto di 81 pagine (facendo una selezione, perché il materiale a disposizione era di più) e l’abbiamo inviato alla presidente e al copresidente del Movimento. Poi abbiamo organizzato l’incontro che si è svolto il 13 gennaio, che casualmente è anche la Giornata mondiale del dialogo tra religioni e omosessualità. Ci siamo raccontati in un clima di dialogo. L’obiettivo era quello di conoscersi senza maschere. Noi siamo arrivati con le nostre esperienze e siamo partiti dall’abc. Abbiamo spiegato le varie lettere della sigla della comunità, le origini del movimento LGBT e le tappe fondamentali della sua storia.
Quali proposte avete fatto al Movimento dei Focolari?
Avevamo articolato sei proposte concrete. Le prime tre sono quelle che più sentivamo come urgenti. Innanzitutto le scuse ufficiali, sia per noi sia per tutte le persone che non ci hanno scritto o non sono arrivati a contatto con il documento ma che hanno vissuto l’omolesbobitransfobia all’interno del Movimento. La presidente si è commossa sentendo le nostre parole e ci ha comunicato che avevano già pensato a questo gesto.
Poi abbiamo chiesto di organizzare momenti di formazione per tutto il movimento, che è mondiale quindi bisogna adattare bene il progetto ai singoli contesti. Anche su questo si erano già mossi: avevano contattato padre Pino Piva che a fine gennaio farà un incontro online con il consiglio. Secondo noi una grande attenzione va verso i formatori a contatto con i giovani.
Infine abbiamo chiesto lo stop alle terapie di conversione. La loro inefficacia nel portare all’eterosessualità è scientificamente provata da tempo e così anche la loro pericolosità a livello psicologico.
Ci sono state poi altre tre proposte, giusto? Sei in tutto.
Esatto. Abbiamo chiesto anche di partecipare alla veglia contro l’omolesbobitransfobia del 17 maggio, di creare spazi di dialogo in cui ci si può esprimere senza timore e di favorire la libertà all’interno del Movimento. Le persone dovrebbero poter scegliere o meno di fare coming out, sapendo però che non saranno rifiutate dalla comunità.
Tutte queste proposte sono state accolte in uno spazio di grande dialogo. È un cammino, quindi richiede lavoro, confronto continui. Se sembra un passo piccolo per la società, è però un passo grande per la Chiesa e per il Movimento a cui abbiamo chiesto – per citare la lettera inviata alla presidente e al copresidente – di “avere coraggio. Coraggio d’iniziare un dialogo con quelle persone, come noi, che sanno vivere alla luce di due arcobaleni che solo all’apparenza sono inconciliabili”.