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Il diritto alla salute in carcere è a rischio per la mancanza di personale sanitario

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Perché leggere questo articolo? L’idea che la detenzione in carcere debba essere sofferenza fisica e psicologica rimane radicata nella cultura dominante. Questa visione, però, ha delle conseguenze sulla salute quale diritto fondamentale. A partire da come funziona la sanità per le persone detenute, ci si interroga sull’attuale situazione: la carenza di personale (non solo sanitario) ha degli impatti rilevanti sull’accesso alle cure per chi vive ristretto. Dalle visite di routine a quelle specialiatiche, per passare dalla salute mentale ai suicidi: un sistema frammentato – gestito fra interno ed esterno – che mette a rischio la salute.

L’ambiente penitenziario ha inevitabilmente degli impatti sulla salute delle persone detenute. Laddove non si soffre già di qualche patologia, si rischia di ammalarsi tra le mura. I fattori possono essere diversi: la carenza di riscaldamento o di acqua calda, l’igiene non sempre adeguata, la mancanza di spazi che consentano uno stile di vita sano.

In carcere qualsiasi intervento medico si focalizza su controlli reattivi per limitare eventuali conseguenze, non si lavora in funzione preventiva. Seguendo questo principio una patologia viene presa in considerazione e trattata solo quando si manifesta.

Che cos’è la riforma della sanità penitenziaria

Secondo il decreto legislativo 230/1999: «I detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali ed in quelli locali». Ma bisogna attendere il 1°aprile 2008 perché la salute delle persone detenute diventi competenza del Servizio Sanitario Nazionale. Il ministero della Giustizia, che fino a quel momento si era occupato anche della competenza sanitaria, cede il testimone.

Nonostante la riforma del 2008 (entrata in vigore nel 2010) avesse l’obiettivo di “parificare”, sul piano normativo, la salute della persona libera e di quella ristretta, affermando, ad esempio, che le Aziende sanitarie locali dovessero occuparsi anche delle carceri e che le persone detenute dovessero avere a disposizione gli stessi servizi di cura delle persone libere, nel concreto le cose vanno diversamente. Ad accomunare dentro e fuori è sicuramente la carenza di personale sanitario.

Carenza di personale sanitario

Dati del 2019 mostrano un rapporto diseguale tra medici e persone detenute: c’era un solo medico di base in ogni carcere per ogni 315 detenuti, per un totale di mille medici di base e di guardia nei circa 200 istituti di pena italiani. Troppo pochi per garantire un servizio adeguato. Ovviamente, bisogna tenere in considerazione che il numero varia da carcere a carcere, a seconda della capienza della struttura.

«Il problema dei medici ce lo abbiamo anche fuori. Tutte le difficoltà che il sistema sanitario ha attualmente nel mondo esterno ovviamente si riversano anche in quello che è un contesto particolare, in cui le esigenze di salute sono molto diversificate», dice a True News Valentina Calderone, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Roma. «Per tante persone la detenzione è uno dei primi momenti in cui si ha accesso a tutta una serie di servizi sanitari a cui prima, da liberi, non si aveva avuto accesso», specifica inoltre Calderone facendo riferimento alla complessa composizione della popolazione: tossicodipendenti, stranieri e individui con uno status socioeconomico e livello di istruzione tendenzialmente bassi e con una scarsa cultura sanitaria e un ridotto accesso alle cure.

Non solo nella sanità: la mancanza di personale è strutturale

Ma non è solo il personale sanitario a mancare. I servizi spesso subiscono delle interruzioni a causa di una mancanza strutturale di personale in tutti i settori. Ciò rende la vita in carcere ancora più complessa. «I servizi in carcere soffrono anche della difficoltà di trovare personale sanitario disposto a lavorare all’interno dei luoghi di privazione della libertà dove il lavoro è molto più faticoso. In questi anni le Asl del Lazio hanno fatto bandi di concorso a tempo indeterminato. Non c’è nessuno che partecipa o che sceglie di andare a lavorare in questi posti», afferma con amarezza Stefano Anastasìa, durante la presentazione della relazione annuale del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio. La peculiarità del contesto penitenziario rende il reperimento di professionisti medici qualificati molto complicato, e ciò influisce negativamente sulla disponibilità di personale medico e infermieristico nelle carceri italiane, non solo nel Lazio.

Detenzione e salute

Come previsto dall’articolo 1 comma 4 della legge 180 del 1978 (la cosiddetta legge Basaglia), deve esserci l’adesione volontaria del paziente ai trattamenti cui viene sottoposto. La gestione della salute per una persona che entra in carcere inizia, appunto, con la visita di primo ingresso: degli esami non invasivi che devono essere effettuati perché si sta entrando in una comunità chiusa.

La detenzione costituisce un rischio per la salute a causa delle condizioni degradate di celle e spazi comuni, per il sovraffollamento e l’elevato ricambio delle persone detenute. Inoltre, la popolazione carceraria ha un’età avanzata. Di conseguenza, nelle strutture penitenziarie è maggiore il rischio di contrarre malattie infettive. Tre sono le cause principali: lo stretto contatto in spazi spesso sovraffollati, scarsamente ventilati e dove c’è poca attenzione all’igiene; uno scarso accesso al servizio sanitario; la rapida diffusione degli agenti patogeni tra detenuti, visitatori e staff.

Le malattie prevalenti tra i carcerati

Tra i detenuti è maggiore la prevalenza di Hiv, Hcv (epatite C), Hbv (epatite B) e tubercolosi rispetto alla popolazione libera, principalmente a causa della criminalizzazione dell’uso delle droghe e per la detenzione di persone che ne fanno uso.

Per avere un quadro della salute in carcere i dati a cui si può fare riferimenti risalgono al 2014 e sono stati raccolti grazie a uno studio condotto in 57 istituti penitenziari e che ha coinvolto 16 mila persone detenute in sei regioni del centro nord: Toscana, Veneto, Lazio, Liguria, Umbria e Azienda sanitaria di Salerno. È emerso che oltre il 40% dei pazienti presentava una patologia psichiatrica (ansia, disturbo nevrotico o reazioni di adattamento, depressione). Seguivano le malattie dell’apparato digerente e, con il 14,5%, le patologie dei denti e del cavo orale.Dati più recenti indicano che tra il 25% e il 35% della popolazione detenuta in Italia è affetto da epatite C, l’infezione maggiormente presente. A questi si aggiungono 6.500 portatori attivi del virus dell’epatite B. I soggetti che vivono con Hiv sono invece circa 5mila. Questo dato è in discesa – rispetto a 15 anni fa – grazie all’assunzione di farmaci antiretrovirali.

Il sistema frammentato mette a rischio l’accesso alle cure

La disomogeneità nell’accesso alle cure per le persone detenute è dovuta alla gestione territoriale dei servizi sanitari, ma anche per alcune discontinuità che si possono verificare a causa di problemi organizzativi, come i trasferimenti. Come spiega Calderone: «Ci sono gli ambulatori interni, la maggior parte hanno infermieri h24, ci sono medici di reparto, dipende dalle Asl e poi dipende dalla strumentazione o dalle modalità con cui ogni Asl agisce. Sono previsti anche degli specialisti e le varie specializzazioni dipendono da ogni istituto e dall’organizzazione dell’Asl. Ogni Asl decide, ci sono regioni che funzionano meglio e altre peggio».

Come nota la Garante di Roma, il carcere è un ambiente chiuso. Questo crea inevitabilmente incontro delle difficoltà. La possibilità di superare le quali emerge grazie all’accesso ai presidi sanitari esterni. Così se una persona detenuta necessità di visite all’esterno deve essere accompagnata. In questo iter è fondamentale il ruolo dei nuclei di traduzione e piantonamento del corpo di polizia penitenziaria, responsabile della scorta in ospedale in caso di visite mediche o ricovero.

Visite in carcere e personale

Ma come denuncia Calderone «spesso le visite saltano perché non c’è il personale. Sono visite prenotate che il giorno stesso vengono annullate perché non c’è personale di scorta che possa accompagnare le persone. È un sistema che andrebbe rivisto per provare a rendere tutto più omogeneo e facilmente accessibile». Questo mancato accesso alle visite e alle cure può comportare un aggravamento delle condizioni di salute delle persone detenute.

Ma come ricorda Anastasìa mai nessun istituto penitenziario, nemmeno con il maggiore impegno possibile, potrà garantire dentro il carcere l’assistenza sanitaria a tutte le persone. Ci sarà sempre la necessità dei servizi sanitari esterni e territoriali. Pertanto, «l’amministrazione penitenziaria deve impegnarsi di più riguardo alle risorse per i nuclei di traduzione e piantonamento degli istituti di pena», conclude il Garante del Lazio.

Salute mentale e suicidi in carcere

Nel report “Le carceri scoppiano, l’associazione Antigone riporta – in seguito alle 88 visite condotte nell’ultimo anno negli istituti penitenziari italiani – una preoccupante presenza di persone destinatarie di diagnosi psichiatriche gravi e un massiccio ricorso agli psicofarmaci. Si legge: «L’8,4% delle persone presenti presenta diagnosi psichiatriche gravi, mentre il 17,7% assume regolarmente stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi. Inoltre, 39,2% assume regolarmente sedativi o ipnotici. Il personale psichiatrico e psicologico è presente rispettivamente per 7,4 e 20,4 ore settimanali ogni 100 persone detenute, evidentemente insufficienti per far fronte alle necessità della popolazione reclusa».

Il 2024 rischia di diventare l’anno dell’emergenza suicidi. Le persone detenute che si sono tolte la vita sono state finora 61. Sempre secondo Antigone, se i dati sui suicidi continuano a crescere, «sarà superato il primato negativo registrato nel 2022, quando a fine anno le persone che si suicidarono in carcere furono 85».