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“Ok, Italia-Germania è la partita del secolo. Ma quello scorso”

"Ok, Italia-Germania è la partita del secolo. Ma quello scorso"

Perché leggere questo articolo? Andrea Antonioli, Direttore Editoriale di Rivista Contrasti commenta a True-News.it la morte di Schnellinger, eroe di Italia-Germania 4 a 3.

E’ morto Karl-Heinz Schnellinger, il terzinaccio che ci ha regalato la “partita del secolo”. Senza il suo gol non avremmo avuto Italia-Germania 4 a 3. Non segnava mai il buon “Carletto”, professione “bel zovine” come diceva di lui il mitico Paron Nereo Rocco; non un gol nelle sue dieci stagioni in quel Milan di Rivera. Non una reta in nazionale tedesca, fino a quel 17 giugno 1970. Al novantesimo minuto della semifinale del mondiale di Messico ’70, Schnellinger si trova casualmente in area di rigore azzurra e segna l’1 a 1 che vale i supplementari. Il resto è storia. Una storia di un passato che forse non ci appartiene più. Per Andrea Antonioli, Direttore editoriale di Rivista Contrasti, “Italia-Germania è la partita del secolo, ma quello scorso”. A True-News.it prova ad analizzare il tema della cosiddetta “operazione nostalgia” che sta inondano il racconto del calcio.

Antonioli, se n’è andato un eroe di Italia-Germania 4 a 3. Più di 50 anni dopo è ancora la “partita del secolo”?

Italia-Germania resta un riferimento culturale, letterario e sportivo. Però parliamo di un fatto avvenuto 23 anni prima che io nascessi. E’ un riferimento che personalmente non sento come mio. E’ ancora possibile abbeverarsi di quel mito, di una partita che fu epica e mitologia. Ma è un riferimento antico, che scalda il mio cuore solo fino a un certo punto. Preferisco leggere quella partita come Brera: fu un “libera tutti”.

Cosa è cambiato in questi 54 anni?

L’Italia è diversa. Come Paese e come Pallone. A a livello calcistico, culturale e politico eravamo un’altra nazione. Per cominciare, eravamo centrali. La Nazionale del 1970 di quel Italia-Germania 4 a 3 era tra le più forti del mondo. Una delle più forti di sempre. Adesso siamo provincia dell’impero, una delle Nazionali più in crisi e meno rappresentative di sempre.

Per questo, secondo lei, la narrazione calcistica guarda al passato?

La cosiddetta “operazione nostalgia” che ci fa guardare al passato è frutto del presente. Abbiamo di fronte a noi una delle Italia delle più scarse di sempre, è inevitabile che guardiamo a quella mitica Italia-Germania 4 a 3. Allora avevamo uomini di carattere, delle icone come Gigi Riva, sono quello che ci manca oggi. Questo ci fa tornare indietro a guardare figure mitologiche. L’idealizzazione del passato serve a dimenticare un presente che non alimenta fiducia.

Il calcio di oggi andrà in direzione sempre più contraria rispetto all’epica di Italia-Germania 4-3?

C’è sempre meno meno epica e sentimento nel calcio. Totalmente. Mi sono innamorato di un pallone che non esiste più. Il calcio come fenomeno sociale, politico, identitario, quasi religioso è ormai scomparso. Quando il Ceo del Liverpool afferma che il calcio deve competere le piattaforme come Netflix, allora veramente al calcio hanno svuotato l’essenza. Nel mercato vince sempre chi è spettacolare, ma così il calcio gioca con strumenti di altri. Non è solo un gioco, ma molto di più. Eppure, lo si sta trasformando in qualcosa di differente. Il calcio ormai sta nell’iperuranio, un mondo fatto di vizi, tecnologie e apparenze. Così facendo noni riesce più a offrire storie, come quella di Italia-Germania 1970.

Come può fare il calcio a tornare ad avere storie da raccontare?

Non credo possa più. Gli uomini del pallone non sono più gli stessi dei tempi di Italia-Germania. Offrono meno storie. Un tempo erano uomini prima che calciatori, adesso è il contrario. I calciatori sono nativi digitali, che vivono più sui social che in campo. Il calcio ormai è una bolla, per trovare la passione vera bisogna guardare ad altri scenari. Non paragonarlo più al passato, ma guardando altrove. Le storie si possono trovare nel cosiddetto “calcio minore”, delle categorie inferiore. Quando i tifosi si fanno azionisti della propria squadra, col calcio popolare, ecco lì è ancora possibile trovare un’umanità nel pallone.