Italia’s Got Talent alla conquista di Topolino. Lo show abbandonato da Sky approda su Disney Plus e le prime due puntate sanno già di causa persissima. Vuoi per le new entry in giuria Khaby Lame, TikToker da oltre 160 milioni di follower che si esprime solo a faccette, ed Elettra Lamborghini di cui ancora si deve identificare un qualunque effettivo talento. Mara Maionchi e Frank Matano restano le due certezze della giuria, anche se oramai sono triste eco di se stessi. A prescindere dalle valutazioni televisive che pur si potrebbero fare, dando un occhio ai concorrenti ci siamo resi conto di un’evidenza nascosta in piena vista: stai a vedere che spunta fuori il Paese reale. Forse è sempre stato così, ma il numero di wannabe artisti che si presentano in qualità di “liberi professionisti”, stagionali come “animatori di villaggi turistici”, “rider” sembra essere salito vertiginosamente. In pratica, uno stuolo di disoccupati, precari o comunque malpagati che tenta la carta del “talento” per svoltare. Nell’impossibilità di trovare lavoro, meglio mettersi a far suonare bicchieri e stoviglie o a cantare con il cane alle soglie dei 40 anni. Italia’s Got Talent come ultima spiaggia di tutti i senza occupazione nostrani? Forse sì. Con l’incombente abolizione del reddito di cittadinanza, tocca pure inventarsi qualche cosa. Tipo, magari, di essere un artista. Perché no? Se ce l’ha fatta Khaby Lame…
Italia’s Got Talent: l’eterna danza del disoccupato
Italia’s Got Talent è l’eterna danza del disoccupato. Se a intrattenere lo show non riesce più oramai da svariate edizioni – per questo Sky ha gettato la spugna – a vederlo così, freak show per freak show, dopotutto può essere una triste fotografia del nostro sciagurato presente. Quattro milionari, una per nascita, una per merito, l’altro forse per talento, l’ultimo per un’incredibile botta di fortuna, stanno seduti a veder sfilare chi non arriva a fine mese. E aguzza l’ingegno per cercare di trovarsi un qualche tipo di talento, visto che il lavoro in Italia è una bella utopia. Se un tempo la sensazione era: “Ma guarda cosa fa questo pur di non trovarsi una fatica!”, ora se ne percepisce assai la “fatica”. Non vogliamo essere troppo sentimentali ma, al di fuori dei bambini prodigio, possibile che si presentino così tanti personaggi, nell’ordine delle migliaia, senza un impiego reale o comunque non sottopagato? Certo, l’arte non dà il pane, però il quarantenne che si mette a “cantare” col cane meticcio, riterrà davvero, nel profondo del suo cuore, di essere un artista? Tenta la carta della visibilità tv per recuperare qualche ospitata alle sagre di paese, magari. Che son sempre soldi, con ogni probabilità, esentasse. E riposi in pace il salario minimo, pure quello del poro Fassino.
Italia’s Got Talent: meglio del reddito di cittadinanza?
Il ritorno di Italia’s Got Talent, questa volta su Disney Plus, non sa di favola Disney a lieto fine. Se il format è fiacco oramai da tempo, anche il triste walzer dei concorrenti cliché che si ripetono a ogni edizione non è da meno. C’è chi canta, chi balla, chi si contorce, chi fa il monologo di stand up sulle nove ore in cui è rimasta sotto le macerie della propria casa, terremotata. E poi doveva solo “superare la notte”. La ragazzina che il problema del lavoro ancora non ce l’ha, ma che già ha tentato di farsi fuori e ora intona un brano di riscossa con due ali nere a spuntarle dalle spalle. Non passa le selezioni, ma dice che continuerà a tentare la strada dell’arte. Fa bene. Fa bene perché, anche solo guardandosi intorno, l’alternativa è di ritrovarsi, cinquantenne, su quello stesso palco. Su quello stesso palco ma nell’atto di schiacciare venti gusci di noci in trenta secondi col solo ausilio dell’alluce del piede destro. Sì, è successo davvero. L’abolizione del reddito di cittadinanza ha ingrossato le fila dei casting di Italia’s Got Talent, in un Paese in cui il talento vero, in fin dei conti, sarebbe quello di trovare un’occupazione stabile. Invece di dover essere in qualche modo costretti a scoprire che rumore fa un bicchiere se ci soffi sopra con una penna. Non un bel programma. Nemmeno un bel quadretto.