“Anche dopo 32 film, sembra che abbiamo appena scalfito la superficie“. Così parlava appena un mese fa il presidente dei Marvel Studios Kevin Feige, in occasione dei 100 anni della Disney. Un entusiastico ottimismo che stride con il crescente senso di incertezza e perplessità che aleggia attorno al Marvel Cinematic Universe. Una realtà che dal 2009 ad oggi ha cambiato nel profondo Hollywood, riscrivendo più di una regola del gioco. Trentadue film e 25 show televisivi che nel complesso hanno generato incassi per 30 miliardi di dollari. Una macchina inarrestabile. O almeno sembrava. Ma l’uscita di Avengers: Endgame ha segnato nel 2019 sotto tutti i punti di vista sia il culmine che la fine di un ciclo. E l’inizio di una fase – quella ancora in corso – che ad oggi sembra faticare a replicare i fasti del recente passato.
“La Marvel è nei guai?” Variety lancia l’allarme
“La Marvel è nei guai?” La cover story di Variety di inizio novembre firmata da Tatiana Siegel ha portato definitivamente in superficie un dibattito che tra fan e addetti ai lavori è ormai aperto da tempo. L’articolo si basa sulle indiscrezioni rivelate da una fonte che ha partecipato ad una riunione dei vertici creativi Marvel a Palm Springs lo scorso settembre. Il tema di più stretta attualità è stato cosa fare con Jonathan Majors, l’attore che interpreta Kang il Conquistatore, e che va verso un insidioso processo per violenze domestiche. Sperare che tutto si risolva in nulla? Rimpiazzare l’interprete? Abbandonare le linee narrative che vedono protagonista il suo personaggio? Un dilemma non di poco conto data la centralità di Kang nella attuale fase 5 e nella prossima fase 6, di cui dovrebbe rappresentare l’arci-nemico, il nuovo Thanos. Ma questo è per così dire “solo” un incidente di percorso. O per meglio dire un sintomo di quelli che sono i reali e più profondi problemi.
Marvel, il “peccato originale” della pandemia
Si potrebbe infatti dire che l’identità del vero villain dell’MCU è ben nota a tutti: il suo nome è Covid-19. Risale infatti al 2020 la scelta della Disney (che ha acquisito la Marvel nel 2009) di imporre un repentino cambio di marcia all’MCU con l’intensificazione della produzione di film e serie tv, per garantire preziosa linfa vitale alla neonata piattaforma Disney+ e di conseguenza raddrizzare i conti della “Casa del Topo”. Si era nel pieno della pandemia, non si sapeva quanto sarebbe durata e l’unica certezza era che c’era una platea globale con una gran quantità di tempo libero da trascorrere sul divano di casa. Un piano ragionevole, apparentemente. Che si è però trasformato in un boomerang. Il mantra di non lasciare mai un giorno senza che fosse disponibile al cinema o su Disney+ un nuovo prodotto MCU mostra ora evidentemente la corda. Per almeno due motivi, legati tra loro.
Le difficoltà del comparto VFX nascono da script frettolosi
Neppure una struttura colossale come la Marvel ha saputo tenere il ritmo. Ad andare in evidente difficoltà soprattutto il comparto VFX, ovvero gli effetti speciali. I fan più attenti, abituati a ben altri standard, sono rimasti scioccati dalla scarsa qualità grafica con cui sono stati fatti uscire prodotti come Ant-Man and the Wasp: Quantumania o She-Hulk. Ma, ed è questo il vero vulnus che emerge dalla ricostruzione di Variety, la sciatteria degli effetti speciali è conseguenza delle fragilità in fase di scrittura. Script buttati giù in fretta ed ai quali è stato poi necessario rimettere mano per aggiustarli. Lasciando troppo poco tempo al reparto VFX per fare le cose a dovere. Nonostante turni massacranti di 14 ore per rispettare le scadenze, che hanno portato a proteste estesesi poi a tutta l’industria cinematografica.
Cosa ha portato la Marvel a dominare l’industria cinematografica
Se da un lato dunque la necessità di garantire un insostenibile numero di film e serie tv ha quasi portato al collasso la struttura interna ed ha fatto sì che vedessero la luce prodotti complessivamente non all’altezza, dall’altra parte si è verificato qualcosa che era tanto prevedibile quanto inspiegabilmente ignorato: la saturazione del mercato ha portato ad una parziale disaffezione del pubblico. Sono ormai quindici anni che il genere supereroistico e le storie tratte dai comics sono una miniera sfruttata in modo sistematico. Nella lista dei dieci maggiori incassi della storia del cinema, quattro sono film Marvel. E dieci sono i film dell’MCU ad avere incassato più di un miliardo di dollari al box office. Questi i numeri. Che sono figli di scelte azzeccatissime in serie. Quelle che hanno portato la Marvel in un decennio a ottenere una posizione di assoluta predominanza nell’industria cinematografica.
I personaggi e gli attori scelti per interpretarli, il registro narrativo in perfetto equilibrio tra humour ed epica, il dialogo rispettoso con il patrimonio costituito da decenni di storie a fumetti e l’intelligenza nell’adattarle per il grande schermo, l’immaginario visivo ed estetico. Ma soprattutto, una straordinaria e rigorosa visione d’insieme che, dal primo Iron Man sino ad Endgame ha generato una sinfonia corale il cui finale è stato orchestrato alla perfezione. Persino i fan più accaniti lo riconoscono: anche nella golden age non sono mancati mezzi passi falsi. Iron Man 2, Thor 2, Avengers: Age of Ultron non furono certo considerati capolavori alla loro uscita. Ma l’efficacia della parabola narrativa della cosidetta saga dell’Infinito (che racchiude le prime tre fasi dell’MCU) ha reso la somma qualcosa di più delle singole parti. Nel suo genere, una pietra miliare. Un termine di paragone ineludibile. Anche per la stessa Marvel.
Cosa sta mancando alla saga del Multiverso
Ed è qui che si è aperto un ulteriore fronte. Ad oggi (siamo dentro la fase 5) la saga del Multiverso, ovvero il nuovo orizzonte narrativo che fa da collante ad ogni singola uscita, sta faticando a tenere il confronto con ciò che è avvenuto prima. Sotto tutti gli aspetti. Se ne sono andati personaggi ed attori carismatici ed amatissimi come il Captain America di Chris Evans, l’Iron Man di Robert Downey jr., la Vedova Nera di Scarlett Johansson, il Black Panther del compianto Chadwick Boseman. Ne sono arrivati di moltissimi nuovi, ma nessuno sembra aver fatto sinora breccia in eguale misura. Alcuni film sono sembrati fuori tono, troppo sbilanciati sul versante comico come Thor: Love and Thunder.
Le esigenze di produzione hanno diluito la qualità di script ed effetti speciali portando ad una discontinuità cronica: successi come il terzo e conclusivo capitolo dei Guardiani della Galassia o Spider-Man: No way home e prodotti audaci e ben congegnati come WandaVision o Loki si sono alternati a tanti (troppi) momenti interlocutori: al cinema Eternals, Quantumania o il recentissimo The Marvels, in tv She-Hulk o Secret Invasion. Forse nessuno in sè è stato un totale disastro. Ma l’asticella era ormai stata fissata molto in alto, in un impero in cui un film che incasso meno di mezzo miliardo è considerato un flop.
In ultimo, la visione d’insieme. La consapevolezza di dover proporre qualcosa di nuovo rispetto al proprio stesso passato, perdipiù in un contesto di generale inflazione del genere, ha portato i vertici dell’MCU a puntare tutto sul concetto di Multiverso. Affascinante, appagante per i fan più motivati ed utile anche a tenere aperte le porte a qualsiasi scenario (presto saranno buttati nella mischia X-Men e Fantastici Quattro. E nulla teoricamente impedisce che personaggi considerati morti possano “resuscitare”come extrema ratio in caso la situazione precipiti ulteriormente).
Ma è anche pericolosamente complesso. Il crescente numero di film e serie le cui vicende si intrecciano sulla premessa dell’esistenza di infiniti mondi ed infinite linee temporali mette alla prova anche i fedelissimi, impegnati a ricomporre il puzzle di indizi, anticipazioni, trame e sottotrame. E disincentiva potenziali nuovi spettatori occasionali, che potrebbero non essere entusiasti all’idea di dover recuperare decine di film e serie tv prima di poter affrontare l’ultima uscita cogliendone tutti i nessi e gli antefatti.
Crisi Marvel: le quattro contromisure in casa Disney
Quali le contromisure che stanno adottando in casa Disney? Uno: inaugurare con l’imminente serie Echo l’antologia Spotlight, prodotti che è possibile fruire anche senza sapere nulla di quello che è successo prima. Due: rallentare il ritmo delle uscite. Nel 2024 un solo film al cinema: Deadpool 3. Tre: Majors permettendo, far definitivamente decollare la saga del Multiverso, con i già programmati film sui nuovi Avengers. Quattro: capitalizzare al meglio gli asset ancora intatti come Spider-man e i nuovi gioielli di famiglia in arrivo dalla Fox. Basterà? Ci vorrebbe un Doctor Strange per indicare a Disney quanti scenari possibili si concludono con un successo.
Scena post-credits. I vertici Marvel dovrebbero aggiungere un quinto punto alla loro agenda, probabilmente il più delicato: sperare che il pubblico non si sia nel frattempo definitivamente stancato. Indiewire ha recentemente proposto i risultati di una ricerca condotta da Comscore su dati forniti da PostTrak. Cosa dicono questi numeri? Che l’età media del pubblico dei film Marvel sta salendo. Solo l’8% di coloro che sono andati al cinema a vedere The Marvels aveva tra i 13 ed i 17 anni. Ed il pubblico tra i 18 ed i 24 anni ha rappresentato il 19%. I dati sembrano anche suggerire un trend per il pubblico appartenente alla Generazione Z, cresciuto in termini percentuali sino a pochi anni fa ma ora in graduale diminuzione. Se in precedenza ogni nuova uscita Marvel era un qualcosa di eccitante, cool, imperdibile per bambini, teenagers e young adults, il report pare indicare che quello che per ovvie ragioni rappresenta il target più ambito stia iniziando a riservare ad altro i propri entusiasmi. Se è il brand Marvel stesso a entrare in crisi, ogni scenario si apre. Per Disney è già scoccata l’ora di una sfida degna degli Avengers originali: come impedire ad un universo di collassare?