Giuseppina la pendolare Napoli-Milano che ogni giorno si sveglia alle 4 per raggiungere il capoluogo meneghino e la scuola in cui lavora come bidella. Una storiella che ha fatto il giro del web prima di rivelarsi l’evidente boomerang di mitomania che era già in partenza. Fa sempre sorridere sottolineare l’ovvio ma no, non era plausibile un ritmo di vita del genere, alla modica cifra di 400 euro e spicci per l’abbonamento mensile del treno.
Sarebbe bastata una ricerca a volo d’angelo sui siti delle principali linee di trasporto. Come anche solo un pizzico di buonsenso. Una volta che la panzana, pardon “notizia”, è uscita, il web intero, tra influencer e singnorini nessuno, prevalentemente milanesi, che si sono prodigati a debunkare la storiella di Giuseppina la pendolare. Non sono mancate grosse pernacchie a quei boccaloni dei giornalisti italiani e rimbrotti moralistici a una certa retorica promotrice del lavoro come sacrificio fantozziano. Tutto vero, tutto giusto. Ma anche ben lontano dal cuore del problema. E il problema è che chi sfotte Giuseppina la pendolare è più fesso (e fors’anche mitomane) di lei.
La gara a chi ce l’ha più lungo (l’Italo Treno)
Giuseppina la pendolare è zimbello nazionale. Di tutti i sapientoni che si sono messi a dragare i siti di Trenitalia, Frecciarossa, Italo, Flixbus, dei risciò. Per scoprire che, economicamente, la storia raccontata dalla giovane bidella non stesse in piedi, dati alla mano. Così, è saltato fuori come un abbonamento mensile per la tratta Napoli-Milano nei giorni feriali arrivi a costare da 847 a 1381 euro, altro che 400.
E via di code a pavone social, lunghissima la sfilata di influencer e wannabe che hanno mostrato con orgoglio queste cifre, con l’aria di chi ha capito tutto, novello Sherlock. Elementare, Watson. Poi niente, pipponi molto Canva sul giornalismo avariato e acchiappalike che abbiamo da subire ogni dì, grosse disamine su quanto sia sbagliato e “tossico” il messaggio che questa panzana virale porta con sé: chi vuole lavorare, chi vuole lavorare davvero, deve essere disposto a rinunciare alla vita pur di realizzare il sogno della busta paga. Giuseppina la pendolare docet. Però c’è un però.
Giuseppina la pendolare ha fatto anche cose buone
“Giuseppina la pendolare poteva andare a vivere nell’hinterland”, cinguettano tutti, mentre le regalano soluzioni alternative alla faticaccia che si sarebbe accollata senza motivo. E lo cinguettano dai loro 20 metri quadri scarsi in subaffitto. A prescindere dalle scelte diverse che Giuseppina avrebbe potuto fare nella sua vita, l’unica morale, a volerne cercare una, di questa favolaccia dovrebbe essere quella di far tornare il focus sugli affitti impossibili che flagellano Milano oramai da anni, ma soprattutto hic et nunc.
Se è vero che nessuno è costretto a vivere nel capoluogo, è anche cristallino che la città in esame abbia costi esorbitanti, insostenibili e inaccettabili. Per farla breve: un abbonamento mensile che va da 847 a 1381 euro per il treno Milano-Napoli e ritorno, conviene di gran lunga rispetto alle cifre che girano per abitare nel place to be. Si risparmia. E non poco.
La morale della favolaccia (che nessuno racconta) di Giuseppina
Qualche mese fa era stato lo scrittore Jonathan Bazzi a far scoppiare il bubbone lamentando via Twitter l’impossibile affitto che gli toccava pagare ogni mese: 800 euro per il bilocale in cui vive col compagno in zona Ortica, letteralmente fuori Milano. Grande indignazione sul web, perfino Le Iene ci fecero un servizio. Banalizzando non poco la gravità della situazione. Perché magari si trovassero, a prescindere dalla zona, “case” che si possano definire tali a 800 euro! Basta dare un occhio ai principali siti immobiliari: sotto ai mille euro, si recupera giusto un posto letto. E non è da snob rifiutare l’idea del bagno in comune con quattro sconosciuti, dopotutto.
Per gli sciagurati che vogliono vivere da soli, i prezzi si impennano: chi scrive ha potuto vedere coi propri occhi loculi senza water (!) da 20 mq complessivi, messi in affitto a un migliaio di euro più spese. Per entrarci, naturalmente, ci sono tre mensilità da anticipare come caparra, la percentuale (10-15 %) da versare sull’unghia all’agenzia rispetto al canone annuale. E, soprattutto, è necessario fornire garanzie che manco Briatore: l’aspirante inquilino deve dimostrare una busta paga (come è noto, a Milano non esistono freelance) che sia “congrua” ossia di tre-quattro volte superiore al canone mensile. Quindi, per “vivere” in 20 metri quadri a Bande Nere – non proprio su una guglia del Duomo – un cristiano dovrebbe guadagnare 3-4 mila euro al mese. Puliti. Almeno almeno doppio di una busta paga media. Tutto regolare?
Continuiamo così, facciamoci del male
Giuseppina la pendolare fa ridere, certo. Intanto, gli annunci immobiliari a Milano ostentano in caps lock quando il tugurio proposto è fornito di “BIDET” come fosse un bene di lusso. Non manca certo chi arriva a chiedere 2500 euro quando offre un domicilio di addirittura 30 metri quadri, al quarto piano senza ascensore. Sotto i 1500, comunque, si registrano possibilità talmente misere da far rivalutare la scelta di vita di Giuseppina la pendolare. Giuseppina la pendolare che tutti stiamo perculando perché siamo più furbi. Di lei, dei giornalisti boccaloni, della società tutta. Mentre l’unica opzione percorribile, in concreto, resta quella di informarsi sui costi di un loculo al Monumentale. Dovremmo essere incazzati neri. Cogliere qualunque pretesto, anche mitomane, pur di parlare di questa piaga che affligge Milano. Invece, al solito, facciamo gli splendidi. O, al massimo, i meme. Quando la realtà dei fatti indica Giuseppina la pendolare, gli stolti guardano il dito. E allora continuiamo così, facciamoci del male.