Giovanna Pedretti è stata ritrovata senza vita nel fiume Lambro la sera di domenica 15 gennaio. La ristoratrice, proprietaria della pizzeria Le Vignole a Sant’Angelo Lodigiano, aveva 59 anni e negli ultimi giorni era finita al centro del dibattito social. Prima come paladina dei diritti di gay e disabili, poi alla stregua di lestofante che si era inventata una recensione omofoba e abilista per fare pubblicità al proprio locale. A smascherare l’escamotage sono stati, in prima linea, Selvaggia Lucarelli e il compagno chef Lorenzo Biagiarelli. Da quel momento, perfino un giornalista del Tg3 è andato a intervistare Pedretti, per indagare sulla veridicità del post, oramai virale. In meno di 48 ore, dunque, la donna è passata da santa patrona a persona senza scrupoli. Capace di cavalcare l’onda buona dell’inclusione per raccattare un paio di coperti in più. Che poi è ciò che fanno tutte le principali testate d’informazione per racimolare click, ogni giorno. Altrimenti, non si spiega come la recensione di un piccolo locale nella provincia di Lodi sia diventata notizia di rilevanza nazionale, piazzata nelle prime pagine di ogni sito dal Fatto a Repubblica passando per ilmiolabrador.it. Perché nessuno ha controllato prima di sbatterla online? Qualcuno ha davvero responsabilità nella morte di Giovanna Pedretti? Sì, perché in questa tragica vicenda, abbiamo fallito tutti.
Giovanna Pedretti, quella recensione virale e il falso mito dei giornalisti allocchi
Giovanna Pedretti non c’è più. E questo è l’unico fatto concreto dell’intera vicenda che l’ha vista, suo malgrado, protagonista del dibattito online nelle ultime ore. Scorrendo qualunque social, è molto facile imbattersi in post di accuse verso i giornalisti, rei di non aver verificato, a differenza di Selvaggia Lucarelli e compagno, lo screen di quella recensione, evidentemente artefatto. E pure male. Screditare “i giornalisti” e giudicarli pressapochisti, però, significa avere una visione molto parziale di come funziona l’informazione online (chiamiamola così). In media, uno scribacchino del web viene pagato a croccantini possi per buttar fuori più “pezzi” possibili entro una certa ora. Quando in redazione arriva una “breaking”, è da far uscire “subito, prima di tutti, questa è trend”. E così tocca occuparsi di gattini, anziane che svelano il segreto per campare 100 anni, starlette che dicono boiate, magari anche di Giovanna Pedretti che risponde per le rime a un cliente omofobo e abilista.
Il problema non sono gli autori di questi “articoli”, ma la linea editoriale delle testate, tutte, che oggi come oggi appena vede “gay” e/o “disabili” maltrattati, sente profumo di inclusione (trend) e, con buona pace della veridicità della storia, la manda online hic et nunc. Sfregandosi le mani alla prospettiva del monte Everest di click giornalieri che quel pezzo, scritto alla veloce e subito subito, consentirà di scalare. Quando Selvaggia Lucarelli attacca gli scrivani del web, finge di non sapere che la situazione sia questa. Che, in buona sostanza, se la sta prendendo con dei poveracci senza alcun potere decisionale, ma col bisogno di arrotondare. Se non addirittura di camparsi. Lei lavora meglio? Sì. Specie perché lo può fare: ha i soldi e il tempo per pubblicare un paio di pezzi al mese. Approfondisce, verifica, studia. E grazie al belino, così siamo Pulitzer tutti.
Giovanna Pedretti, abbiamo fallito tutti (anche Selvaggia Lucarelli)
Scagliarsi contro i “giornalisti”, in generale, è fare i forti con i deboli. Soprattutto per chi da questo mondo proviene e lo conosce bene. Ci sarebbe da fare un’urgente riflessione, piuttosto, sulle linee editoriali, sui contratti inesistenti imposti a chi scrive online (ma non solo). Insomma, sul sistema che conduce, inevitabilmente, a pastrocchi di tale portata. Un sistema dove, allo stesso tempo, non è colpa di nessuno e di tutti. Di chi non si ribella perché non può, di chi muove le fila e pensa solo a fare click. Anche quando ha da dirigere una testata importante, una di quelle che il grande pubblico andrebbe a leggere lo stesso, pure se facesse informazione “vera”, senza magheggi ingordi di views.
Era necessario verificare che la recensione di Giovanna Pedretti fosse vera? Sì. È stato fatto? No. Se non da Selvaggia Lucarelli e compagno. Che in questo non hanno certo “sbagliato”. Il loro scopo, ne siamo certi, non era quello di prendersela con una sessantenne di provincia, ma di dimostrare la sciatteria dell’informazione online. Purtroppo, però, quando fai il nome di una sessantenne di provincia dall’alto di un profilo che tiene un milione di follower, armi un esercito. E questo non puoi far finta di non saperlo. In superficie, abbiamo visto un servizio del Tg3 dedicato alla bugia di Pedretti, ma chissà quanti le avranno scritto brutte cose in privato, contattandola sui social per dirgliene quattro. Un kommando che può mettere paura. E che, forse, ha spaventato anche la ristoratrice, magari convinta di aver perso la faccia, di aver fatto qualcosa di troppo grave per poter essere perdonato. L’ondata d’odio e insulti sarebbe durata una settimana al massimo, poi tutti sarebbero passati al “mostro” successivo. Ma questo Pedretti, purtroppo, non poteva saperlo. Selvaggia Lucarelli, invece, sì.
Giovanna Pedretti, il bieco cinismo di fronte alla morte di una sessantenne
Giovanna Pedretti è morta, forse si è tolta la vita. Di fronte alla notizia, sia Selvaggia Lucarelli che il suo compagno, si sono subito premurati, tramite lunghi post social, a ribadire una cosa e una cosa soltanto: “comunque, abbiamo ragione”. Ed è questo atteggiamento che ha perplesso chi li segue e anche chi non li ha seguiti mai. Chissenefrega se avete ragione, è morta una persona, non è il momento di fare gli splendidi, i Detective Conan senza macchia né paura. Aspetta, ma soprattutto rispetta. Magari, per una sera, taci. Le testate che hanno riportato una non notizia (poi rivelatasi falsa), loro due che l’hanno “debunkata” con dovizia di post ad hoc manco si trattasse di una intercettazione Stato-Mafia, ognuno di noi che su quella non notizia ha cliccato.
Ci siamo resi tutti parte di un meccanismo che, alla fine dei conti, ha condotto alla morte di una sessantenne che aveva escogitato un modo, discutibile assai, per fare pubblicità alla propria piccola impresa. Oggi si parla di odio online e se ne dibatterà per qualche giorno, fino alla prossima tragedia. Su cui, ovviamente, non mancheremo di fare click per sapere tutto, poterne cinguettare sui social, magari attaccare i responsabili presunti per mostrare al mondo che noi, noi sì, siamo i buoni.