Parthenope, il nuovo film di Paolo Sorrentino, divide. Il regista non è nè santo nè blasfemo, ma eretico. E affronta l’enigma della seconda anima di Napoli e dell’Italia: quella greca
Dagli anni Cinquanta si passa ai Settanta scavalcando senza troppi fronzoli il ’68, perché Parthenope, l’erotica ed eretica Celeste Dalla Porta, non si lascia travolgere dalla Storia, ma dal tempo, e come l’acqua scorre tra i cunicoli della vita che Napoli nasconde. L’opera di Paolo Sorrentino getta un faro con voce matura sull’enigma che rappresenta la seconda anima dell’Italia, quella greca, così lontana dal disincanto pacchiano dei romani decrepiti nelle terrazze della capitale.
Sorrentino supera il mito della Grande Bellezza e ritorna alle proprie radici, contrapponendovi il mito lacapriano della Bella Giornata e attraverso il proprio sguardo poetico ne sviluppa una critica erotica. Critica nel senso letterale del termine, da krinein, “spacchettare” o “scomporre”, la Bella Giornata in Parthenope si scompone in diversi lineamenti della vita che scorrono paralleli nel tempo, ma in tondo ruotano ciascuno attorno al medesimo centro segreto e magmatico che Napoli nasconde e da cui essa trae il potere magico di sottrarsi al bene e al male con la bellezza, la sensualità e l’umorismo feroce che ferisce a morte chi non possiede il “piede marino”. Come il Rogerino di Ferito a Morte, travolto dalla hybris degli amici della propria fidanzata napoletana, John Cheever (Gary Oldman) a Capri resta accecato dalla giovinezza solare della protagonista, incapace di distinguere ormai tra natura e uomo una volta che su di essi si è posato lo sguardo di “colui che colpisce da lontano”, ovvero il Sole, come usavano definirlo gli antichi greci.
Ferito a morte dalla bellezza di Parthenope il fratello maggiore Raimondo (Daniele Rienzo), anch’egli la personificazione di un lineamento di Napoli, quello in cui è impossibile scindere la realtà dalla rappresentazione teatrale. Dove è la Natura il palco scenico di un suicidio, la tragedia è atomica e il racconto prevale sul vissuto che lo ha generato. Questo vale per tutti gli ambienti della società partenopea che la protagonista esplora nel suo viaggio antropologico, più che etno-centrico, forse, erotico-centrico.
Parthenope e il lato pagano di Napoli
La tappa iniziale è quella del porto candido e sicuro delle mura accademiche, grazie all’iniziazione del professor Marotta (Silvio Orlando), unico personaggio apollineo nel progresso dionisiaco della trama, costellata di personaggi da cui emerge il lato pagano della città, in cui sacro e profano si confondono nella bellezza che genera il miracolo. Il cardinale Tesorone, interpretato da Peppe Lanzetta, ne è la più grande metafora. Quando l’alto prelato si unisce carnalmente con Parthenope nella penombra della Cappella del Tesoro, la adorna con i gioielli sacri di San Gennaro, ma questo accade perché ella sceglie di lasciarsi adornare. Ella giace con Tesorone, e allo stesso tempo vi soggiace, perché esercitando il libero arbitrio del cattolicesimo sceglie di lasciarsi sedurre nella bellezza ed è questo il peccato necessario a generare il miracolo dello scioglimento del sangue di San Gennaro.
Sorrentino nè santo nè blasfemo ma eretico
Allo stesso tempo Parthenope, però, rivela un lato di sé che richiama in qualche modo la Griselda del Decameron di Boccaccio, la quale è in grado di superare gli ostacoli che la crudeltà della vita gli presenta soggiacendo ad essi, perché altro non può che soggiacervi, data la sua bellezza fuori dal comune. La scena del film di Sorrentino, ad ogni modo, è già stata definita blasfema da Don Franco Rapullino (parroco di San Giuseppe a Chiaia), ma Sorrentino, a differenza di quanto titolano i giornali di questi giorni non è né un santo, né un blasfemo, bensì un eretico che sceglie di addentare il frutto proibito per raccontare il sacro della propria memoria.
Parthenope, i quartieri spagnoli e la nascita della nuova Camorra
Eretico, Sorrentino anche nella sfera più laica, limitando ad una sola inquadratura il Vesuvio fumante, e risparmiando agli spettatori il racconto della Napul’è mille colori, senza negarsi la potente invettiva della diva Greta Cool di forte risonanza lacapriana contro l’autoreferenzialità inoperosa della società partenopea. In poche scene, inoltre, il regista e sceneggiatore realizza un magistrale spaccato dei Quartieri spagnoli degli anni Settanta, abitati dalla miseria più nera, e segnati dalla nascita della Nuova Camorra Organizzata, schizzata in pochi e precisi tratti dalla oscura scena della “grande fusione”, dove figlio e figlia di cosche antagoniste pongono il sigillo della pace tra le rispettive famiglie unendosi pubblicamente in un coito per la procreazione del nuovo erede. Scena alla quale assiste anche Parthenope, compassionevole verso la giovane ragazza costretta a diventare madre secondo un disegno più grande di lei. A questo destino, la protagonista – e quindi Napoli stessa – invece, ancora una volta, sceglierà di sottrarvisi quando si scoprirà incinta del suo amante, il tenebroso “malamente” Roberto Criscuolo (Marlon Joubert).
Allontanarsi da Napoli per raccontare Napoli
Il personaggio in questione è uno dei tanti che in qualche modo prendono per mano la protagonista e la conducono virgilianamente attraverso i vari inferni, purgatori e paradisi che Napoli nasconde così bene soprattutto a chi vi è nato e cresciuto e soprattutto a chi per comprenderli nella loro unità ha avuto bisogno di andarsene lontano e maturare attraverso una prolungata teicoscopia l’idea di una soluzione a tutte le domande e gli amori ivi rimasti senza risposte. Infatti, Parthenope, una volta vinta la cattedra di antropologia a Trento vi rimarrà sino alla pensione, e farà ritorno a Napoli solo allora, alla fine del film. La conclusione della pellicola probabilmente rispecchia, per certi versi, l’itinerario creativo di Paolo Sorrentino stesso, che per poter partorire un’opera così impressionante e unitaria sulla città più stilizzata e stereotipata d’Italia, ha dovuto allontanarsi per poi ritornarvi con la serenità di chi è riuscito finalmente a fare pace con il proprio passato, e quindi, con Parthenope stessa.