Perché questo articolo ti dovrebbe interessare? Dopo lo stupro di Palermo, il Ministero dell’istruzione si mette in moto per introdurre a scuola delle lezioni contro la violenza di genere. Sembra la soluzione al problema, ma si rimette tutto alla preparazione del corpo docente. Ne abbiamo parlato con il collettivo di insegnanti Assenze ingiustificate e con l’autrice Giulia Blasi.
La proposta in fase di elaborazione e guidata dal ministro Giuseppe Valditara si concentra sull’educazione al genere e sulla sensibilizzazione contro gli abusi. Oltre alle lezioni di educazione alla sessualità, si mira a un diretto coinvolgimento delle classi attraverso la peer education e a un focus sulle conseguenze legali della condivisione online di contenuti espliciti non consensuali.
Queata proposta, ancora in fase di discussione, sembra la soluzione di un problema che riguarda tutta la società. Eppure si concretizzerà in nuove indicazioni ministeriali, che possono essere o meno applicate a seconda della volontà del corpo docente.
Serve un percorso strutturato
Come spiega il collettivo di insegnanti Assenze ingiustificate, infatti, “serve un percorso serio, strutturato e obbligatorio (e non opzionale come è oggi) fin dalla scuola elementare.
Serve un percorso che non abbia paura dei tabù, che vada oltre allo stile bigotto e banale che accomuna molti dei percorsi già attivi nelle scuole.
Basta girare la testa dall’altra parte, basta restare in superficie accontentandosi della lezioncina.
Sradicare questi meccanismi che creano ruoli di potere liberticidi è un atto rivoluzionario vero e necessario ed è una pratica collettiva che parte proprio da qui: dalla scuola.
Al momento tutto ciò non sembra essere urgente per il ministero dell’istruzione: al massimo ci si riempie la bocca di frasi fatte e discorsi vuoti o poco incisivi. Ai vertici vengono fatti gli sproloqui più disparati, c’è indignazione, si colpevolizzano “i giovani d’oggi”, si parla di abolire i porno ai ragazzi e di castrazione chimica, etc. Ma la realtà dei fatti è un’altra: l’educazione è il punto di partenza e a scuola tutto ricade sulla buona volontà di qualche professore o dirigente che decide spontaneamente di sbattersi per provare a costruire, insieme ai propri alunni, una società più bella e giusta per tutti”.
Serve una materia a sé
Si rimette quindi tutto alla preparazione e agli interessi delle e degli insegnanti. Ne abbiamo parlato con l’autrice Giulia Blasi.
Di cosa avremmo bisogno per parlare in modo proficuo di parità di genere in modo proficuo a scuola?
Non credo che lo possano fare gli insegnanti così come sono. Questo lavoro può essere fatto creando una materia autonoma, gestita da educatori ed educatrici già formate che sanno fare questo lavoro. Non credo che questa materia debba essere infilata a forza nelle ore di altre discipline. Deve essere valutata a parte e diatribuita su tutto il percorso scolastico, dall’asilo alle superiori.
Se questo percorso è discrezionale – e cioè come sta per essere formulato al momento -, ci sarà una scuola, magari guidata da un dirigente attento, che lo farà e una scuola che urla al gender che lo eviterà. Il risultato sarà una formazione a macchia di leopardo.
Bisogna quindi fare un investimento per il benessere e la tutela di tutti i cittadini. C’è un problema di violenza maschile nella nostra società, che si riversa sulle donne ma anche sugli uomini. A tutte le età. Non si puo pensare di venire a capo di questo problema se non si investono fondi veri. Su questi temi invece si tende al costo zero.
Il ministro dell’istruzione Giuseppe Valdotara proponeva di portare le vittime nelle scuole e affidare loro questo tipo di educazione. In alcuni casi esporsi in prima persona può costituire un secondo trauma. Ci sono educatori ed educatrici apposite, ben formate sulla violenza e la parità di genere. Bisognerebbe fare affidamento su di loro.
Il ministro parlava anche di educazione tra pari. È un canale importante ma prima studentesse e studenti vanno formati in modo adeguato. E per questo ci vogliono i soldi.
Una formazione contro la violenza di genere non dev’essere discrezionale. Dovrebbe essere anzi obbligatoria anche nelle scuole confessionali e private. E se non le vuoi fare perdi i finanziamenti. Non è una questione rimandabile.
Introdurre questo tipo di educazione significa smantellare il contesto patriarcale. La componente conservatrice non vuole toccare un pilastro del controllo sociale. Questa è la ragione per cui è difficile portarla davvero in classe.
Nel suo lavoro, ha incontrato l’esigenza delle giovani generazioni di affrontare temi come la parità di genere e il consenso?
Ho riscontrato dei feedback importanti in questo senso ad esempio attraverso la Rete degli studenti medi, che ha messo nero su bianco e ha avanzato pubblicamente la richiesta di un percorso su affettività e sessualità concentrato anche sulla parità tra i generi. Diverse sono le proposte formulate cadute nel vuoto perché richiedono investimenti.
Insegnando ho notato che quando si parla di questi temi ogni anno che passa le classi sono sempre più formate. Il lavoro fatto fuori dalla scuola ha attecchito nelle nuove generazioni, che si stanno educando a vicenda. Pero è troppo poco. C’è bisogno di una formazione anche all’interno della scuola.