Perché leggere questo articolo? Gli ultimi disordini, in ordine di tempo, quelli scatenati a Bologna dai fan del trapper Medy Cartier. Cosa spinge la “generazione maranza” a condotte antisociali e quale futuro si prospetta? La “psicologa_social” Federica Casùla: “Soldi ed individualismo oscurano empatia e solidarietà. Serve riportare i ragazzi a valori più realistici. Ed evitare l’ ‘effetto Pigmalione’”
Al centro commerciale Gran Reno di Bologna, sabato 9 dicembre, si è scatenata una maxi rissa tra “maranza” durante un concerto abusivo organizzato via Instagram dal trapper Medy Cartier. Un semplice post è bastato per radunare sul posto centinaia di ragazzini, ma la situazione è degenerata quando alcuni gruppi hanno iniziato a spintonarsi, finendo per sfociare in forme di violenza più gravi, tra bottigliate e coltelli, con numerosi vandalismi nella zona. Nel caos sono rimasti feriti due ragazzi di 17 anni. Il trapper, già conosciuto alle forte dell’ordine per una rapina a Riccione, ha risposto su Instagram prendendo le distanze dall’accaduto. Non è la prima volta che l’area è ritrovo di risse e vandalismi. Ma, più in generale non è la prima volta che si vedono episodi del genere. E’ di poco tempo fa la rissa a Perugia durante il concerto di Paky. I trapper, i loro modi di fare e i testi delle loro canzoni diventano modelli dei nuovi giovani.
Trapper, “generazione maranza” e il fascino del criminale
True News torna sul tema (ne abbiamo già parlato QUI) con la psicologa_social Federica Casùla. Che spiega: “Il fascino del criminale è un tema alla base di molti racconti, film, canzoni… Si idealizza tale figura in quanto infrange le regole, è coraggioso, menefreghista, si oppone alle autorità. Un desiderio primitivo che risiede in tutti noi, che pone il raggiungimento di alcuni obiettivi individuali senza empatizzare con gli altri, ma che prende forma solo in determinati tipi di personalità e di contesti socioculturali.”
La psicologa_ social: “I rischi di un modello di successo basato su soldi e individualismo”
Comportamenti del genere coinvolgono soprattutto adolescenti che come riporta Casùla “vivono sicuramente un periodo della vita di ribellione all’autorità, durante il quale si cerca di costruire la propria identità ed indipendenza rompendo – anche bruscamente- i confini imposti da tutti coloro che sono percepiti come “impositori di regole”. Continua la psicologa_social: “Il comportamento antisociale che si sviluppa in questa fase del ciclo di vita, sicuramente è influenzato da diversi ‘idoli’. Rispecchia tuttavia un malessere inespresso che è anche generazionale. Da una parte i ragazzi di oggi, a differenza delle altre generazioni, hanno ereditato una situazione non proprio tranquilla: parliamo di clima, ambiente, questioni economiche, difficoltà nel trovare un lavoro o un salario decente. Dall’altra, l’attuale modello di successo è frequentemente legato solo ai soldi e all’individualismo, oscurando invece altri valori come la solidarietà, l’empatia e lo spirito di comunità. Il tutto contribuisce, assieme a variabili di personalità e di contesto in cui si cresce, a fomentare questi comportamenti”.
“Quando si è stati vittime, ci si vuole prendere una rivincita”
In tutti i casi, come la maxi rissa a Bologna, si assiste a comportamenti aggressivi verso il gruppo dei pari e anche a vandalismi. Dal punto di vista dei ragazzi, come afferma Casúla, “spesso determinati comportamenti sono percepiti come naturali, l’unico modo per poter stare al mondo. Verosimilmente hanno adottato tale stile di vita perché nel loro contesto ‘è giusto così’. Per questo è importante fornire delle alternative. Non come punizioni, ma per far sperimentare loro altri modi per sentirsi forti ed auto efficaci senza prevaricare l’altro”. Allo stesso modo il vandalismo, che, come nel caso di Bologna, ha visto i ragazzi svuotare gli estintori in zona, “è figlio di scarse competenze sociali ed emotive, che non sono state apprese durante la crescita. Altre volte, entra in gioco il circolo ‘vittima-carnefice’: quando si è stati vittime, ci si vuole riprendere – erroneamente – una sorta di rivincita verso il mondo facendo ad altri ciò che si è subito” e ancora, andando più in profondità, “comportamenti aggressivi e vandalici possono avere alla base disturbi psicologici come, ad esempio, quelli di personalità (nello specifico del cluster B), della condotta o dell’umore”.
Un adolescente che commette azioni violente rischia di diventare un adulto pericoloso
C’è da chiedersi se questi comportamenti verranno poi mantenuti anche in età adulta o se siano solamente una fase adolescenziale. In merito la psicologa sottolinea: “Se non vi è un intervento (di prevenzione, sensibilizzazione o anche di tipo clinico) è molto probabile che un adolescente che commette azioni illegali e violente possa diventare un adulto molto pericoloso“. La generazione “maranza”, infatti, che al momento è molto influenzata da questi modelli, costituirà il mondo futuro e “se si fa un buon lavoro sulle nuove generazioni, questi trapper resteranno casi isolati e verosimilmente di loro sarà apprezzata e seguita solo la musica e non il comportamento. Sono molto fiduciosa a riguardo, ma bisogna agire presto e riportare i ragazzi di oggi a valori più realistici”.
Tra città e periferia: i trapper figli non integrati dell’immigrazione e l’effetto Pigmalione
Protagonisti spesso sono i giovani figli dell’immigrazione, prevalentemente dal Nord Africa, cresciuti in quartieri emarginati e periferici. Per la psicologa_social “non sempre c’è una distinzione così netta, ma è indubbio che in questi casi avvenga il cosiddetto ‘effetto Pigmalione’: chi è considerato virtuoso è più valorizzato, gli altri no. Si confermano quindi gli status, senza la possibilità di cambiamento“. In merito a ciò continua la dottoressa: “Le politiche sociali dovrebbero considerare le persone che vivono in contesti emarginati non come dei ‘poveretti’ ai quali rivolgersi con pietà e compassione o, peggio, dei criminali ineducabili. Proprio loro dovrebbero essere considerati risorse, valorizzandole sempre più. Ed evitando che ci sia, appunto, una continua conferma implicita di queste differenze”.
È opportuno quindi intervenire per invertire il processo con dei percorsi di integrazione. L’idea della psicologa_social è infatti quella che vede l’adolescente antisociale non solo come una persona da curare, ma anche di cui avere cura: “Il cambiamento non deriva solo dal farmaco o dal percorso di psicoterapia, ma anche da un contesto protettivo e una da una sana rete di amicizie. Empatizzare, collaborare e cooperare con gli altri aiuta a comprendere il valore della pro socialità”.