A oltre due settimane dall’uccisione di Sharon Verzeni a Terno d’Isola, manca ancora l’autore. C’è il rischio che si trasformi in un cold case? Laura Marinaro, inviata del settimanale Giallo: “Non esiste il delitto perfetto, perché un assassino lascia sempre una traccia. Il vero problema è riuscire a trovarla o a interpretarla correttamente. Sebbene il passare del tempo possa complicare le indagini sul campo, esso può anche offrire opportunità attraverso metodi scientifici più avanzati. Ma è sbagliato dire che ora gli inquirenti stanno utilizzando il ‘metodo Yara’”. L’intervista
Il tragico caso di Sharon Verzeni, la barista di 33 anni brutalmente uccisa nella provincia di Bergamo nella notte tra il 29 e il 30 luglio scorsi, sta lasciando dei grossi punti di domanda. Nonostante gli sforzi investigativi, gli inquirenti non sono ancora riusciti a identificare l’assassino. Le indagini si concentrano ora sul vaglio del DNA degli abitanti del paese, con particolare attenzione agli abitanti di via Castegnate, dove la donna è stata trovata senza vita. Per commentare gli sviluppi del caso ci siamo rivolti a Laura Marinaro, giornalista professionista esperta in cronaca nera e giudiziaria, nonché autrice di gialli. Inviata del settimanale Giallo e coautrice del libro “Yara Autopsia di un’indagine” insieme a Roberta Bruzzone, Marinaro condivide la sua prospettiva su questa complessa vicenda. L’intervista.
La stampa sta parlando di metodo Yara in questa fase delle indagini sul caso Verzeni. Che cosa significa?
In realtà, non si sta utilizzando il vero e proprio “metodo Yara” nel caso di Sharon. L’approccio adottato finora si limita a escludere i profili genetici di soccorritori, parenti e forse qualche vicino, per evitare contaminazioni. Non è ancora chiaro se sia stato individuato un profilo genetico sconosciuto sui vestiti o sulle ferite da confrontare con altri campioni. Quindi, non si può parlare della stessa metodologia. Inoltre, i carabinieri hanno smentito l’ipotesi di un’indagine genetica su larga scala, come quella adottata nel caso Yara.
Sono passate ormai più di due settimane dal delitto: questo fa sì che crescano le possibilità che resti un caso irrisolto?
Non esiste il delitto perfetto, perché un assassino lascia sempre una traccia. Il vero problema è riuscire a trovarla o a interpretarla correttamente. Sebbene il passare del tempo possa complicare le indagini sul campo, esso può anche offrire opportunità attraverso metodi scientifici più avanzati. Queste indagini non si limitano alle tracce biologiche, ma includono anche analisi digitali, dati di videosorveglianza e l’incrocio di testimonianze, elementi che possono rivelarsi cruciali anche dopo anni.
Indagini prolungate portano l’opinione pubblica ad avere una percezione negativa della giustizia e alimentano sfiducia nel sistema legale.
Le critiche nei confronti delle indagini prolungate spesso derivano da una mancata comprensione della complessità del processo investigativo. Il vero problema non è il tempo impiegato, ma la diffusa ignoranza su come funzionano le indagini e i procedimenti giudiziari. In Italia, il sistema legale offre molte garanzie per l’imputato con la possibilità di revisione del processo in caso di nuove prove. Ma questo non sempre è compreso dal pubblico. Educare la cittadinanza su questi aspetti potrebbe migliorare la percezione della giustizia.
Come si possono superare le difficoltà probatorie?
Le difficoltà probatorie sorgono principalmente quando un caso arriva a processo, ma se un’indagine non riesce a raccogliere prove sufficienti prima di quella fase, il rischio è che il caso diventi un cold case. Per evitare questo scenario, è fondamentale preservare ogni possibile traccia, anche quelle che al momento sembrano irrilevanti, e sfruttare tutte le risorse scientifiche e investigative disponibili. Sebbene in Italia ci siano pochi errori giudiziari, garantire giustizia richiede un equilibrio tra le esigenze dell’imputato e quelle dei parenti della vittima. Il che rende cruciali le fasi investigative preliminari.