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L’Ecuador e la battaglia contro i narcos: come cambia la guerra globale alla droga

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Perché leggere questo articolo? Scopriamo cosa succede in Ecuador, dove al “narco-golpe” il governo risponde con un giro di vite senza precedenti contro i cartelli.

Il “narco-golpe” che ha colpito l’Ecuador dopo l’evasione di “Fito”, al secolo José Adolfo Macias, dal carcere Litoral di Guyaquil e l’assalto alla Tv di Stato il 9 gennaio scorso ha destabilizzato un Paese da tempo in una fase critica. L’anno è iniziato con eventi ad alta intensità in un Paese che ha registrato il 2023 come il più violento della sua storia. Anno culminato nella caduta del governo di Guillelmo Lasso, nella convocazioni di elezioni suppletive per finire il mandato presidenziale nel periodo 2023-2025 e nell’omicidio del candidato 59enne di centrodestra Fernando Villavicencio il 9 agosto scorso.

La sfida di Noboa ai narcos

Il giovane presidente Daniel Noboa, 37 anni, nativo di Miami, si è trovato di fronte alla prospettiva di un governo di due anni che è partito in salita con il rischio di essere funestato da problematiche di sistema già dalle prime battute. In seguito agli eventi del 9 gennaio, il presidente Noboa ha decretato lo stato di “conflitto armato interno” palesando l’esistenza di un assedio dei narcotrafficanti alla legittimità del potere ecuadoregno

Attualmente, il presidente Noboa si trova di fronte a una sfida impegnativa, ma non insormontabile: quella di ristabilire lo stato di diritto. La rapida dichiarazione di Noboa, avvenuta martedì, sullo stato di “conflitto armato interno”, con la designazione di bande come gruppi terroristici, rappresenta un netto contrasto rispetto alle risposte più accomodanti dei governi precedenti. Pur affrontando una carenza di risorse, l’esercito dell’Ecuador riceverà un sostegno finanziario, ma dovrà confrontarsi con una variegata schiera di nemici.

In un paese altrimenti diviso, è emerso un raro consenso politico a favore della posizione decisa di Noboa. Tale appoggio proviene da vari gruppi politici e dalla società civile, inclusi l’ex presidente Rafael Correa e il leader indigeno Leonidas Iza. Questo consenso offre a Noboa un’opportunità politica per attuare politiche di sicurezza rigorose e altre riforme, compresi i piani per un referendum sull’estradizione e il sequestro dei beni dei criminali. Nessun assegno in bianco, però. Correa, ad esempio, ha chiesto che al giro di vite contro i narcos si aggiunga una stretta continua sulla lotta alla corruzione sistemica.

Le crisi sistemiche dell’Ecuador

L’ex presidente tocca un tasto dolente: i problemi attuali non sono sorti improvvisamente. L’Ecuador vive una crisi su più livelli legata alla somma di narcotraffico, bomba sociale connessa ai tassi crescenti della povertà, escalation della violenza. Secondo i dati delle Nazioni Unite, la produzione mondiale di cocaina è più che raddoppiata nell’ultimo decennio e i transiti dall’Ecuador aumentati del 500%. Dal 2018, l’Ecuador ha dovuto affrontare un’ondata storica di violenza poiché il paese è diventato un punto critico di transito della cocaina e i gruppi criminali organizzati competono per il controllo delle rotte della droga e delle carceri. Centinaia di detenuti sono stati uccisi negli scontri carcerari e il Paese

Geograficamente, l’Ecuador si trova tra la Colombia e il Perù , i due principali paesi produttori di cocaina al mondo. Possiede anche il porto di Guayaquil , un importante passaggio che soffre di scarsa supervisione da parte delle autorità ecuadoriane. Fino al 2016 le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) controllavano le operazioni di traffico di cocaina tra Colombia ed Ecuador.

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A seguito di un accordo di pace tra le FARC e il governo colombiano di quell’anno che portò il gruppo colombiano a ritirarsi dalle principali aree di produzione di cocaina, alcuni membri dissidenti delle FARC fondarono le proprie bande di narcotrafficanti. Grazie a un migliore controllo da parte del governo colombiano sugli snodi dei trasporti, il traffico di droga dalla Colombia è diminuito e le sue operazioni si sono spostate in Ecuador.

Secondo Vox , la minore domanda di cocaina negli Stati Uniti insieme al processo di pace colombiano ha creato un vuoto di potere che ha visto gruppi criminali albanesi, messicani e venezuelani tentare di controllare le rotte del traffico di droga in uscita dall’Ecuador. Inoltre, l’ex ministro degli Interni e capo della polizia nazionale del Perù, Eduardo Pérez Rocha, ha affermato dopo l’inizio del conflitto che l’aumento della violenza in Ecuador era dovuto alla presenza della banda internazionale venezuelana Tren de Aragua , con conseguente maggiore intensità di attività criminale.

Guayaquil, capitale del caos

Al centro di tutto Guayaquil. Sede temporanea del governo dopo lo spostamento da Quito nel 2019 decretato da Lenin Moreno in seguito alle proteste anti-austerità, sede del carcere da cui è evaso “Fito” la città più popolosa del Paese e capitale economica dell’Ecuador, in particolare, è diventata un importante hub per il trasbordo della cocaina proveniente da Colombia e Perù, ed è stata teatro di gran parte delle violenze della scorsa settimana. Il tasso di omicidi in Ecuador è cresciuto di quasi il 500% in cinque anni, posizionandolo tra i paesi più violenti dell’America Latina. Lo stesso Villavicencio denunciava, prima del suo assassinio, la presa sempre più forte dei cartelli sul Paese latinoamericano.


La fuga recente di criminali di alto profilo dalle carceri sottolinea un’infiltrazione criminale profonda nelle istituzioni statali, soprattutto nelle prigioni che funzionano essenzialmente come quartier generali del crimine. Questi eventi hanno generato un clima di paura senza precedenti, causando gravi turbamenti alle attività commerciali e alla vita quotidiana, costringendo persino molte aziende multinazionali a trasferire i loro dipendenti stranieri.

Il sentiero stretto di Noboa

Con soli pochi mesi di mandato alle spalle e poco più di un anno davanti, il 36enne leader di centrodestra, Noboa, ha un’opportunità politica limitata per agire. Potrebbe optare per un approccio simile alle controverse politiche di sicurezza del presidente salvadoregno Nayib Bukele, con retate su larga scala contro sospetti membri delle bande. Tuttavia, questo potrebbe intensificare il conflitto con esiti imprevedibili, mettendo a rischio la stabilità del governo. Al contrario, successi tempestivi nella sicurezza potrebbero rafforzare la posizione di Noboa, conducendolo a una vittoria referendaria e aumentando le prospettive di rielezione nel 2025. Ci sono dubbi sul fatto che le figure scelte da Noboa per il suo governo tecnocratico ora chiamato a guidare la guerra anti-narcos possano essere gli uomini e le donne giuste al momento giusto.

Sul tema basti un esempio: il Ministro dell’Interno è Monica Palencia, un avvocato messicano nativo di Durango naturalizzato lo scorso dicembre, ha dichiarato di non conoscere il settore della sicurezza e ha proclamato come sua sfida “personale” quella di ottenere donazioni aziendali per coprire il costo del cibo per le forze di Polizia. I fatti del 9 gennaio, con l’assalto alla Tv pubblica, sono stati uno shock securitario. “Forse era dai tempi di Pablo Escobar che un paese latinoamericano non vedeva un attacco così audace ai simboli centrali del potere”, ha scritto Americas Quarterly.

Gli occhi delle mafie sull’Ecuador

“Il sistema del narcotraffico così forte in passato in Colombia e Messico”, dice a True-News l‘analista geopolitica esperta di America Latina Giusi Greta Di Cristina, “negli anni è stato destrutturato ma non sconfitto. Lo conferma la sequela di omicidi che continua a avvenire in entrambi i Paesi”, aggiunge. “Già in passato mi è capitato, parlando in diverse conferenze, di ricordare che ad esempio la fine della guerriglia in Colombia non equivaleva alla fine del narcotraffico e della guerra tra cartelli e polizia: per settori di molti sistemi di potere la droga è un allettante fattore di arricchimento” che consolida reti clientelari. Difficile, dunque, rinunciarvi.

La fine dei governi di Rafael Correa e della sinistra progressista del teorico della Revolucion Ciudadana, per Di Cristina, ha contribuito a allargare le maglie del narcotraffico e della corruzione in Ecuador. “Con l’ascesa al governo di una nuova classe dirigente, molto corrotta, e la parallela crisi economica di fatto i narcos hanno avuto gioco facile a penetrare un sistema in transizione” in un Paese ove “nei governi di Correa il miglioramento oggettivo delle condizioni di vita era stato osservabile”. “In quest’ottica l’Ecuador è diventato il nuovo polo internazionale del narcotraffico”, aggiunge l’analista, che ricorda come sul fronte del conflitto interno “la questione sia in pieno divenire e vada osservata attentamente“.

Sul fronte del narcotraffico internazionale, sono stati anche “procuratori attenti alla lotta contro il narcotraffico come Nicola Gratteri a segnalare l’aumento dei sequestri di carichi di droga provenienti dall’Ecuador negli ultimi cinque anni e a segnalare il fatto che un Paese diventato un buco nero per i narcos possa favorire trafficanti d’ogni tipo”. Comprese, ovviamente, le mafie. Desiderose di cavalcare con profitto le nuove rotte della droga contro la cui esondazione lotta oggi il presidente Noboa.