L’Europa va verso la guerra? Ammetterlo non è più una fantasia. Emmanuel Macron alla Sorbona nella giornata del 25 aprile ha aperto a questa prospettiva ricordando che nel caos geopolitico globale “l’Europa può morire”. Macron ha parlato due settimane dopo che l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la Politica Estera e di Sicurezza Comune Josep Borrell si è espresso con gravezza sul tema. Per la prima volta, il navigato politico spagnolo ha pronunciato il concetto tabù. A Bruxelles, infatti, ha affermato: “Una guerra convenzionale ad alta intensità in Europa non è più una fantasia“.
La guerra in Europa non è più un pensiero remoto
Borrell e Macron si inseriscono in un filone consolidato. A gennaio Grant Shapps, segretario alla Difesa britannico, ha ricordato che dal lungo dopo-guerra l’Europa è entrata in una fase di “pre-conflitto”. In primavera sono arrivate prima le uscite di Emmanuel Macron sul possibile invio di truppe francesi in Ucraina, il Consiglio Europeo del 21-22 marzo sull’economia di guerra e le parole del premier polacco Donald Tusk sul timore del conflitto nel Vecchio Continente.
Il tema evidenziato dall’ex ministro degli Esteri di Pedro Sanchez è attuale. L’Europa ha visto tornare ai suoi confini la guerra convenzionale tra Stati sovrani. Spesso nel tema del “ritorno della guerra” si sottovaluta il ruolo giocato, negli Anni Novanta, dagli otto anni di massacri nei Balcani tra il 1991 e il 1999, anni divorati da una serie di massacri. Quelle guerre sono oggetto di una rimozione collettiva. L’Europa si trova di fronte alla prospettiva di una mobilitazione militare avendo appaltato la sua sicurezza ad attori esterni, Usa in testa. “Il muro di Berlino è stato sostituito da un anello di fuoco intorno a noi“, ha detto evocativamente Borrell il 9 aprile. Ricordando, dunque, non solo le tensioni geopolitiche dell’Est ma anche quelle del Mediterraneo e del Medio Oriente.
L’anello di fuoco attorno all’Europa
“Il conflitto ai confini dell’Ue ha messo in luce i sottoinvestimenti nell’industria della difesa e nelle capacità militari del blocco”, ha scritto il Financial Times. “Ha anche spaventato le capitali che temono che gli Stati Uniti possano ritirarsi dal loro ruolo a lungo termine di massima garanzia di sicurezza del continente se Donald Trump tornasse alla Casa Bianca dopo le elezioni presidenziali americane di novembre”. La guerra, questo tipo di guerra, spaventa l’Unione Europea perché impone di riflettere sul principio della sicurezza collettiva e della responsabilità.
A spaventare è la fine del torpore della storia in cui l’Ue poteva, tramite i suoi Stati, partecipare all’agenda geopolitica dell’Occidente operando, però, in teatri lontani. E, paradossalmente, la manifestazione della volontà europea di invertire la rotta è un assecondamento della volontà americana di un confronto più serrato con la Russia. Difficile da ritenere strategicamente vitale nel lungo periodo in un’Europa che ha bisogno di distensione e stabilizzazione. La sfera della deterrenza è un conto e la sua assenza ha avuto un ruolo nel quadro della decisione russa di invadere l’Ucraina.
Ammonire sul ritorno della guerra, dunque, deve andare di pari passo con un ragionamento sistemico sulle priorità dell’Europa. Che in Africa, in Medio Oriente e negli stessi Balcani difficilmente ha capacità d’azione reale per dirimere in autonomia i suoi problemi. Il rischio che la presa di consapevolezza sulla guerra avvenga unicamente sulla scia della paura, sul mito del “giardino fiorito” assediato dal caos spesso promosso da Macron e Borrell rischia di rendere a-strategico, e dunque funzionale a potentati esterni, il cambio di paradigma. Rendendo l’Europa solo più impaurita. Non necessariamente più sicura.