Il nuovo dominio di guerra sono i fondali e le reti di infrastrutture che li attraversano. Farebbe invidia a Jules Verne la proliferazione di assetti da guerra con cui le maggiori potenze stanno studiando la competizione nel dominio sottomarino. L’idea di veicoli navali senza pilota che attaccano le arterie del traffico informatico e energetico globale non è fantasia, ma una realtà che potrebbe essere già andata in scena nel Mar Baltico nel settembre 2022, con il sabotaggio di Nord Stream 2, e nel Mar Rosso nei giorni scorsi. Della nuova forma di guerra sotto i mari oggi True-News parla con l’analista geopolitico e esperto di forze armate Andrea Gaspardo, ricercatore della società di consulenza strategica e securitaria Epidosis Srl.
Dottor Gaspardo, saranno i fondali il prossimo teatro caldo di guerra? Cosa ci aspetta dal confronto sul dominio sottomarino?
Il dominio sottomarino, a livello generale, pone come minaccia la proliferazione di mezzi da combattimento subacquei, soprattutto quelli privi di equipaggio. Parliamo dei mezzi uncrowded, spesso chiamati rozzamente “droni sottomarini”, capaci di attaccare per le loro caratteristiche sia obiettivi militari che infrastrutture civili di critica importanza. Tra questi obiettivi si segnalano gasdotti, oleodotti e i cavi sottomarini che trasportano i dati internet.
Ieri i convogli attaccati dagli U-Boot, oggi i cavi nel mirino di questi mezzi avveniristici…
L’uso del dominio sottomarino per colpire infrastrutture civili o strategiche per una nazione nemica non è nuovo. Basti pensare allo storico esempio della guerra sottomarina condotta dalla Germania nelle due guerre mondiali, così come alla tradizione delle forze speciali navali. Ciò che c’è di nuovo è la proliferazione di nuovi strumenti d’attacco che nelle mani di Stati o movimenti politico-militanti e terroristici rischiano di mettere a repentaglio le infrastrutture critiche.
Il confronto nel teatro sottomarino sta già spingendo le grandi potenze a prepararsi?
Le grandi potenze si stanno equipaggiando da tempo per gli scenari di guerra sottomarina. In passato questo teatro delle operazioni navali era riservato al dominio strategico di potenza come gli Usa da un lato e l’Urss prima e la Russia poi dall’altra. Ora analizzano la grande competizione per il dominio sottomarino anche la Cina, Israele, la Francia, il Regno Unito, l’Iran. E perfino diverse formazioni paramilitari stanno dotandosi di mezzi più o meno avanzati per trasformare i fondali marini in un teatro di guerra per colpire il ventre molle degli avversari come le infrastrutture civili ad alta rilevanza strategica.
Che idea si è fatto del caso del Mar Rosso e del presunto sabotaggio dei cavi nell’area calda per il confronto tra milizie Houthi e Occidente?
Sul caso del Mar Rosso le notizie sono ancora frammentarie. Quattro cavi attraverso cui passano connessioni in fibra fondamentali per la trasmissione internet sono stati danneggiati. Evento, luogo e modalità con cui questi fatti si sono palesati ci portano a puntare il dito contro gli Houthi. I quali si sono affrettati a smentire. Ma la loro negazione sembra una foglia di fico per coprire una responsabilità.
Che forze hanno gli Houthi per colpire nel dominio sottomarino?
Ufficialmente le capacità di guerra sottomarini degli Houthi sono sconosciute. Non sono ancora stati catalogati gli strumenti di guerra che possono usare per colpire obiettivi sotto il pelo dell’acqua. Mentre invece si conosce meglio il loro arsenale di missili, droni e barchini esplosivi. Sappiamo che gli Houthi hanno però unità subacquee, paragonabili a incursori di marina. Ma per colpire cavi posti a una certa profondità questi incursori non bastano. Servono assetti navali che evidentemente gli Houthi hanno ma non sono ancora identificati.
Risulta possibile parlare di un appoggio esterno agli Houthi per un’operazione di questo tipo?
Un sostegno esterno in tal senso è fondamentale da mettere in conto. Gli Houthi dall’inizio delle operazioni contro i sauditi hanno avuto un ampio sostegno d’intelligence e militare da parte della Repubblica Islamica dell’Iran. Teheran ha passato agli Houthi sia armamenti che schemi di produzione per renderli sempre più autonomi nel rifornimento militare.
Che forze ha l’Iran nel dominio sottomarino?
L’Iran è assolutamente in grado di portare attacchi di questo tipo. Ha dimostrato di avere a disposizione degli Uncrewed Underwater Vehicle anche di una certa sofisticatezza. Nel 2020 è stato svelato il Nazir-1, veicolo per il combattimento sottomarino privo di equipaggio, non allo stesso livello tecnologico ma paragonabile a veicoli comparabili costruiti da Stati Uniti e Regno Unito. Una dotazione non da poco conto per Teheran. L’Iran ha poi sviluppato strumenti ancora più performanti, come il Nazir-5, paragonabile al Poseidon russo o agli Haeil 1 e Haeil 2 nordcoreani.
I mezzi russi e nordcoreani per molti potrebbero essere anche vettori nucleari…
Veicoli sottomarini di questo tipo possono portare anche testate nucleari, ma nel caso iraniano li immaginiamo rivolti a trasportare testate convenzionali. L’Iran ha poi sperimentato un nuovo Uuv ancora non denominato ufficialmente ma che, visto esternamente, sembra un vero e proprio siluro. Questo è stato sperimentato di recente contro navi in disarmo e obiettivi costieri. Questi mezzi sono ideali per obiettivi civili o militari vicini alle coste, ma non è da escludere che con le dovute modifiche siano adattabili a colpire infrastrutture sottomarine.
Insomma, tutto lascia pensare che anche nel Mar Rosso ci sono da attendere ulteriori sorprese?
Nel Mar Rosso sono stati posti una serie di cavi, una rete intera articolata e complessa. Molti di questi sono posti a grandi profondità, difficilmente attaccabili. Altri sono a profondità più raggiungibili, circa 200 metri. E dunque sono colpibili anche da forze non dotate di elevate competenze tecnologiche. Specie se si tratta di attacchi one way, in cui il mezzo porta una carica esplosiva e viene distrutto nell’operazione, senza tornare alla base. Con il sostegno iraniano gli Houthi sono capaci di realizzare operazioni di questo tipo.