Hamas ha usato gli stupri sulle donne aggredite, rapite o addirittura uccise durante i raid del 7 ottobre scorso in Israele (e non solo) come arma di guerra? Questo quanto sostiene un report dell’Association of Rape Crisis Centers, una Ong basata nello Stato ebraico, inviato alle Nazioni Unite in cui si documenta una vera e propria galleria dell’orrore di Hamas contro le vittime e i prigionieri dell’incursione.
Le violenze del 7 ottobre
Ragazze, donne e in alcuni casi anche giovani di sesso maschile sarebbero stati vittime di “stupri compiuti spesso in gruppo o sotto la minaccia delle armi”, che sarebbero stati perpetrati anche contro le vittime portate in prigionia nella Striscia di Gaza.
Il report dell’Arcc indica nella “volontà di infliggere sadico terrore” l’obiettivo di Hamas. Nel festival Nova, il rave nel deserto in cui l’aggressione di Hamas fece una vera e propria strage, almeno un episodio di stupro è stato documentato ufficialmente con dei video e i racconti dei testimoni parlano di diversi casi di donne ritrovate in stato di shock, senza vestiti. A Be’eri, kibbutz ove 90 persone sono state assassinate da Hamas, due donne sono state trovate morte, completamente nude, con segni di violenza sul corpo.
Gli stupri come arma di guerra
Noam Mark, membro del team di sicurezza del Kibbutz Re’im, ha documentato all’Arcc almeno tre casi di stupri di guerra nel suo kibbutz. L’elenco continua con quattro soldatesse alla base “Shura”, nel Sud di Israele, assaltata da Hamas, che avrebbero presentato danni all’area inguinale e pelvica. Nel documento, consultabile in calce all’articolo, si trova il resto di questa macabra sequela di testimonianze che sarebbe continuata anche durante la prigionia degli ostaggi. In particolare, l’Arcc cita due donne rilasciate da Hamas dopo 51 giorni di prigionia che sarebbero state testimoni oculari di fatti del genere.
“Il modo in cui questi assalti sono stati effettuati mirava a rafforzare il loro impatto sulle vittime e le loro comunità. Vi chiediamo di alzare la voce e di non permettere che le grida di queste vittime svaniscano”, hanno scritto Carmit Klar-Chalamish e Noga Berger, autrici del rapporto. La testimonianza oculare di molte vittime rimaste scioccate da quanto hanno provato sulla loro pelle nelle convulse ore dell’infiltrazione di Hamas è un macigno pesantissimo sull’accertamento delle responsabilità di Hamas. L’azione terroristica del 7 ottobre è stato un brutale crimine di guerra che va respinto con la massima forza e condannato per la sua ferocia. Su questo è impossibile avere posizione diversa.
Una guerra senza pietà
Più problematica sarebbe invece la tendenza a fare del rapporto una fonte politica per giustificare l’attuale conflitto in corso. Respingere la bestiale violenza delle truppe di Hamas non esclude di respingere, con medesima forza, tutti quei crimini di guerra che nel conflitto scoppiato per colpa dei jihadisti rischiano di perpetrarsi a Gaza e nella Striscia a causa dell’escalation di raid israeliani.
Ciò a cui assistiamo è un conflitto brutale in cui le prime vittime sono i civili. Lo sono stati il 7 ottobre, quando due terzi delle vittime israeliane risultarono essere civili, in larga parte giovani. E lo sono, parimenti, a Gaza. Dove sotto i raid dell’Israel Defense Force muoiono donne, bambini, persone fragili. Ricordare entrambi è doveroso. Mentre usare il ricordo di uno per giustificare i massacri dell’altro è fuorviante e dannoso per la convivenza civile. In una guerra senza pietà, voci come quelle raccolte dal rapporto e i messaggi che arrivano ogni giorno da Gaza dovrebbero invitarci a dire, finalmente, basta alla carneficina che sta insanguinando il Medio Oriente.