Perché leggere questo articolo? Da Monaco e la punizione di Settembre Nero ad Hamas. Ecco come cambia la dottrina di Israele sugli ostaggi e la loro liberazione.
La guerra a Gaza sta diventando un ginepraio per Benjamin Netanyahu e Israele e nelle scorse giornate la protesta dei famigliari degli ostaggi rapiti il 7 ottobre scorso hanno chiesto a gran voce le dimissioni del governo. Il premier israeliano subisce il contraccolpo per non esser stato, finora, capace di dare un indirizzo politico chiaro alla campagna militare, tanto da scontentare settori della Difesa di Tel Aviv. E il rischio di un tracollo politico ha portato Netanyahu ad aprire alla possibilità di offrire ad Hamas due mesi di tregua in cambio della liberazione del centinaio di ostaggi ancora trattenuti a Gaza.
Come Israele si muove sugli ostaggi
Tale mossa segnala il vicolo cieco in cui l’Israel Defense Force si è cacciata sulla scia di una strategia deficitaria. Ma anche un cambio di intenzioni netto. Inizialmente Netanyahu proclamava che Gaza sarebbe stata espugnata e ogni uomo di Hamas sarebbe stato “un uomo morto”. Ora si torna a parlare di trattative. Cambiare strategia in forma così netta non è detto possa favorire la capacità di Israele di liberare gli ostaggi.
La dottrina di Tel Aviv è sempre stata chiara: si mirava alla linea dura. La minaccia di Netanyahu a Hamas era irrealistica in riferimento alla mole e struttura di Hamas. Non certamente in relazione allo storico delle operazioni israeliane. La linea dura israeliana ha sempre predicato, in casi del genere, la guerra totale ai rapitori o ai terroristi. Anche di fronte alla logica stessa di salvare le vite degli ostaggi.