Perché leggere questo articolo? La guerra tra Israele e Hamas sembra aver distratto l’Occidente dall’Ucraina. Da Washington e Bruxelles arrivano meno aiuti militari e più impegno umanitario. Il semi-stallo sul campo e la stanchezza del blocco occidentale potrebbero accelerare l’arrivo di una tregua, propedeutica a un congelamento del conflitto. Parliamo di questo scenario con l’analista militare Paolo Mauri.
La guerra in Israele è la più grande preoccupazione dell’Ucraina. Volodymyr Zelensky lo ha dichiarato più volte, anche sotto forma di post su X/Twitter, invitando gli alleati del blocco occidentale a non commettere l’errore di dimenticare il fronte ucraino a causa della sovrapposizione del conflitto tra Israele e Hamas. Ma gli appelli non sono stati sufficienti.
Il trend della riduzione dell’esposizione militare euroamericana in Ucraina, precedente allo scoppio dei combattimenti nell’Israele-Palestina, ha registrato un’accelerazione. L’ambizioso obiettivo dell’invio di un milione di proiettili di artiglieria da 155mm verrà probabilmente mancato. Il nuovo pacchetto sanzionatorio contro la Russia dell’Eurocommissione è in stagnazione. Il percorso d’adesione all’Unione Europea è bloccato dall’Ungheria.
TrueNews ha raggiunto l’analista militare Paolo Mauri, firma di InsideOver e di Rivista Aeronautica, per capire le origini e le ragioni dell’allontanamento del blocco Ue-Stati Uniti dall’Ucraina.
Una teoria vorrebbe che Russia, Cina e Iran sapessero in anticipo dell’operazione militare di Hamas ai danni di Israele. Esisterebbero anche prove a supporto di questa pista, come il ritrovamento di armi di produzione cinese e nordcoreana sul campo di battaglia e il coinvolgimento di hacker russi nell’aggressione di obiettivi cibernetici israeliani. L’obiettivo di questa triangolazione? Testare le capacità dell’Occidente di gestire una policrisi e, incidentalmente, distrarlo dall’Ucraina.
Non sono d’accordo sul fatto che Russia, Cina e Iran sapessero − l’Iran sapeva. L’Iran sapeva sicuramente perché è la potenza regionale di riferimento e sta cercando di mettere in crisi la presenza statunitense in Medioriente. Il fatto che siano state ritrovate armi cinesi, piuttosto che di altra fabbricazione, significa soltanto che sono transitate dall’Iran, che è il catalizzatore del trasferimento di armamenti ad Hamas, Hezbollah e Fatah.
Non sono neanche d’accordo sul fatto che i tre volessero aprire un nuovo fronte di contrasto per divergere l’attenzione dell’Occidente dall’Ucraina. Attenzione che era già in fase calante, come attestato da una pluralità di evidenze emersa già durante la scorsa estate e indicante una volontà statunitense di moderare il supporto all’Ucraina più che di disimpegnarsi da essa.
L’attenzione dell’Occidente in Ucraina era già calante nell’anteguerra, dunque, e i combattimenti tra Israele e Hamas non hanno fatto altro che accelerare una tendenza pregressa…
Negli Stati Uniti dei segnali in tal senso erano già presenti, in Europa un po’ meno. Erano segnali che indicavano una volontà di disimpegno dal fronte europeo e non penso sia un caso che Borrell, nei giorni scorsi, abbia dichiarato che è pronto un piano europeo per il sostegno all’Ucraina.
È dai tempi della fondazione della NATO, un organismo sovranazionale pensato perché gli Stati Uniti mettessero lo scudo, non solo nucleare, e gli Europei la spada, che Washington desidera che fossimo noi a occuparsi dei conflitti nel fronte europeo. La famosa questione del 2% del pil non è venuta con Trump − lo precede. È una questione ricomparsa con la fine della Guerra fredda. La volontà degli Stati Uniti è di responsabilizzare i membri europei dell’Alleanza Atlantica.
Negli ultimi giorni sono accadute delle cose interessanti lungo la strada che da Bruxelles conduce a Kiev. È stato ormai assodato che il proposito di inviare un milione di proiettili di artiglieria da 150mm all’Ucraina resterà un proposito. Le discussioni sull’ultimo pacchetto sanzionatorio alla Russia sono in semi-stagnazione. Il 14 novembre, però, l’Unione Europea ha sbloccato aiuti umanitari destinati a Kiev per 110 milioni di euro. Quest’ultimo gesto è sicuramente significativo, ma, alla luce del naufragio del più ambizioso progetto dell’one-million-bullets-for-Ukraine, non sembra un po’ un premio di consolazione, quello che volgarmente viene definito “contentino”?
Io non parlerei di contentino. Se mi fossi svegliato dopo un sonno durato due anni, due anni di guerra, osservando la situazione direi che i Paesi europei non sono in grado di fornire aiuti militari a Kiev, perché, molto semplicemente, l’industria europea della difesa ha scoperto di non essere capace di affrontare un conflitto convenzionale come quello ucraino. La riduzione del ritmo di invio di armamenti all’Ucraina si lega a un problema strutturale dell’Unione Europea.
Se andassimo a indagare l’invio degli aiuti militari all’Ucraina dall’inizio del conflitto, scopriremmo che l’impegno, dal punto di vista militare, non è stato immediatamente incisivo. Gli aiuti europei, non parlo di quelli americani, è dall’inizio che sono stati più umanitari ed economici che militari. Direi, perciò, che la musica non è cambiata più di tanto dal 24 febbraio 2022 a oggi.
Cosa dice questa musica?
La musica che proviene dalla difesa europea ci dice che è necessario mettere alla mano alla sua struttura industriale, che va razionalizzata e studiata meglio affinché si risolva la questione delle problematiche relative alla produzione di armamenti.
Cambiando tema: cosa ne pensi delle mosse dell’Ungheria di Viktor Orban nello scacchiere europeo e ucraino? È realistico che a un paese così piccolo venga concessa così tanta autonomia in un teatro sensibile quale quello ucraino? Oppure, con un po’ di dietrologia, è legittimo supporre che l’Ungheria stia agendo su mandato altrui?
Non sono un dietrologo, ma penso, per esempio, che dietro l’ultima fuoriuscita in ordine di tempo di informazioni secondo cui gli ucraini sarebbero coinvolti nel sabotaggio al Nord Stream 2 sia un tentativo (degli Stati Uniti) di dire basta, di premere per un ridimensionamento del loro impegno in Ucraina nell’ottica di una focalizzazione in Oriente.
Per quanto riguarda l’Ungheria e gli altri paesi che stanno a lei accodandosi, invece, non essendo un dietrologo, penso semplicemente che si siano fatti i conti in tasca. Si tratta di paesi legati energeticamente alla Russia, spinti fortemente da un animo nazionalistico e che, riunendosi nel Blocco di Visegrad, hanno sempre manifestato opposizione ad alcune tematiche collettivamente condivise a livello Ue. Non credo, pertanto, che Ungheria e altri stiano agendo su mandato di qualcuno. Ma volendo fare della dietrologia, pensando all’Ungheria, questo qualcuno chi potrebbe essere? La Germania? Banalmente, la risposta potrebbe essere che questi paesi stiano facendo i loro interessi.
Il 2024 premette e promette di essere un anno-chiave per le relazioni internazionali: elezioni presidenziali negli Stati Uniti, elezioni presidenziali in Russia e, forse, elezioni presidenziali in Ucraina – anche se queste ultime potrebbero essere posticipate col pretesto della guerra. Il 2024 potrebbe essere l’anno della fine del conflitto? Se sì: come vedi il futuro di Zelensky in un’Ucraina pacificata? Sarà incoronato definitivamente come padre della nazione o seguirà le orme di Winston Churchill?
Parto dall’ultima domanda. Se il conflitto dovesse congelarsi, perché non sarebbe un trattato di pace a porvi fine, la vita politica di Zelensky cesserebbe perché ha guadagnato consenso affermandosi come un leader di guerra che ha promesso di riconquistare i territori perduti. Se il conflitto pertanto si congelasse con l’attuale situazione sul campo, non verrebbe rieletto.
E poi c’è da dire che nelle democrazie efficaci l’uomo forte va bene durante i tempi di guerra, ma una volta che arriva la pace l’opinione pubblica scarica l’uomo forte. Come è successo, appunto, con Churchill.
Per quanto riguarda la fine del conflitto. Ad agosto avrei detto di no, ma adesso sono più possibilista per via delle ragioni espresse finora. Gli Stati Uniti sembrano voler ridurre il sostegno all’Ucraina per affidarla a noi, ma noi non siamo in grado di sostenere i ritmi di consumo degli armanenti nel conflitto e, dunque, questo condurrebbe a uno stallo. E anche la Russia, infine, sembra più disposta ad aprire i canali diplomatici e ha cambiato la narrazione negli ultimi mesi.
Prevedo, nella migliore delle ipotesi, il congelamento del conflitto tra Ucraina e Russia verso giugno-settembre dell’anno prossimo.