Il ritiro delle truppe israeliane dal Sud della Striscia di Gaza segna uno scacco per Benjamin Netanyahu? Si, ma non bisogna trarre da questa vicenda conclusioni definitive sulla guerra tra Israele e Hamas. Ne è convinto Aldo Giannuli, che parlando con True-News ragiona: “la scelta di Netanyahu di evacuare le truppe dell’Israel Defense Force dalla zona di Rafah è da considerare un contentino offerto da Tel Aviv agli Stati Uniti“.
Israele e i dilemmi con gli Usa
Lo storico e politologo a lungo docente all’Università degli Studi di Milano ricorda che “la sopravvivenza politica di Netanyahu, che su questo conflitto non ne sta prendendo una, coincide con la guerra. Solo il prolungamento del conflitto evita la resa dei conti tra il fallimentare governo di ultradestra e la popolazione israeliana”. Giannuli ricorda che “di fronte a un consenso internazionale in profondo calo” e a “prospettive incerte sul suo futuro” Netanyahu non poteva permettersi di tenere alta la tensione. “Si stava alienando il sostegno americano”, spiega Giannuli, tra i massimi esperti italiani di studi strategici e intelligence, “e l’amministrazione Biden aveva bisogno di un segnale per non perdere la faccia assieme a Israele”.
Le incertezze di Netanyahu
Appare sbagliato, comunque, pensare che il dietrofront israeliano equivalga a un’avvisaglia di fine della guerra, nota Giannuli, perché “Israele ora come ora non ha riportato a casa gli ostaggi né debellato Hamas. Né, aggiugno, fatto capire cosa punta a fare nel dopoguerra. La sensazione”, spiega lo studioso di intelligence e studi strategici, “è che Netanyahu abbia dovuto dare un contentino agli Usa per non perdere il loro appoggio, ma che il conflitto non si placherà. E, anzi”, aggiunge, “dobbiamo ancora valutare la reazione dell’Iran ai recenti raid di Damasco compiuti da Israele. Una scelta che potrebbe irrigidire ulteriormente le posizioni”.
Insomma, la guerra continua. Ma con che fini? Questo è il vero dilemma per Tel Aviv. Impossibilitata, negli ultimi tempi, a distinguere i fini dai mezzi. “Non c’è una ratio nelle azioni di Israele dopo i drammatici fatti del 7 ottobre: l’inutile strage della popolazione e l’incedere incerto dell’operazione bellica hanno portato a vaste critiche per la conduzione della guerra”, sottolinea Giannuli, “e se Netanyahu fino al 7 ottobre era il leader che si presentava come Mister Sicurezza” ora rischia di “diventare la sua nemesi”. Ovvero l’uomo dell’incertezza sistemica. Un contrappasso per un capo di governo che si è trovato a gestire una crisi “dopo la quale, per le numerose vicissitudini che lo riguardano rischia di non avere un futuro politico”, aggiunge Giannuli. Concludendo ricordando che “basta questo per porre dubbi sul fatto se Netanyahu sia l’uomo giusto per porre fine a una guerra logorante”.