La Nato compie 75 anni e dalla Guerra Fredda all’era delle guerre ibride cerca, passo dopo passo, di capire quale sarà il suo senso in un mondo che cambia. Mentre la geopolitica globale si fa sempre più calda e nuovi trend di competizione animano gli scenari mondiali, le spese militari sono saldamente sopra i 2mila miliardi e soprattutto nell’alleanza più ampia e duratura del pianeta si è accesa la corsa al riarmo.
La corsa globale alle spese militari
Il motivo? L’invasione russa dell’Ucraina ha alzato le prospettive operative della spesa europea in Difesa e sicurezza. Aprendo dunque a nuovi scenari che fanno scavallare alla Nato il suo terzo quarto di secolo con un rinvigorito senso come garante della sicurezza collettiva dell’Occidente. E dei conseguenti investimenti a pioggia nell’industria degli armamenti. Ormai sempre più centrale anche nel comparto finanziario.
Nelle scorse settimane su queste colonne abbiamo parlato di come con lo scoppio del conflitto in Ucraina nel 2022 la Difesa sia stata inizialmente coccolata da molti investitori che chiedevano addirittura, in contesti come quello britannico, di inserirla nei settori soggetti al campo d’applicazione dei principi Esg. Il motivo? Un acrobatico sillogismo: senza sicurezza collettiva niente economia, senza economia niente finanza, senza finanza niente Esg. E di recente abbiamo sottolineato il boom delle azioni della Difesa da inizio 2024.
La sfida della Nato per il riarmo
Sul tema, True-News ha raccolto l’opinione di Tom Bailey, Head of ETF Research di HANetf, che analizza le prospettive industriali e finanziarie del settore. “Il conflitto in Ucraina, oltre ai problemi di spesa nazionali dei singoli membri dell’Alleanza, ha anche messo in luce le debolezze nella produzione e nella fornitura di armi da parte dei Paesi della Nato”, ragiona Bailey.
Per l’analista le lacune di produzione sono emerse quando la mobilitazione bellica della Russia ha sostenuto la fornitura di armi all’Ucraina da parte dell’Occidente: “il livello di potenza di fuoco utilizzato nel conflitto russo-ucraino ha infatti superato tutto ciò che la Nato aveva preventivato. Si è stimato che solo nel primo mese di scontri, l’artiglieria russa sparasse 600mila proiettili, pari all’incirca all’intera produzione annuale dell’industria europea della difesa prima dell’inizio della guerra. Risulta chiaro come questi numeri abbiano causato un’incredibile e imprevista pressione sul sistema di approvvigionamento dei membri della Nato”, soprattutto dei Paesi europei.
Di conseguenza, l’Unione Europea ha stimato, ricorda Bailey, “di aumentare la produzione annuale di proiettili a due milioni entro il 2025, nel tentativo di contrastare la carenza di forniture all’Ucraina e, di recente, i funzionari dell’Unione hanno annunciato la proposta di Strategia industriale di difesa europea con la quale verrebbero stanziati 1,5 miliardi di euro a supporto della produzione industriale del settore dal 2025 al 2027“.
L’obiettivo? Bailey ricorda come i membri europei della Nato e l’Ue come istituzione intendano spingere ad acquisti comuni e centralizzati l’Europa per un ammontare di “almeno il 40%” di tali munizioni. Con conseguenti valorizzazioni finanziarie degli investimenti nel settore.
Il fondo proposto da Stoltenberg: 100 miliardi della Nato per Kiev
Inoltre, di recente il segretario uscente della Nato, Jens Stoltenberg, ha aggiunto l’idea di istituire un fondo da 100 miliardi di dollari legato all’Alleanza Atlantica per sostenere l’Ucraina. Tale fondo dovrebbe garantire approvvigionamenti militari a Kiev per cinque anni. Surriscaldando ulteriormente la domanda. 75 anni dopo, nel cuore della fase di competizione geopolitica, la Nato non è solo un’alleanza militare. Ma anche, per le aziende coinvolte in questa corsa globale alla sicurezza, un volano di business. Con tutte le conseguenze economiche e geopolitiche del caso.