Perché leggere questo articolo? La guerra di Netanyahu crea contraccolpi. Israele perde consensi per i massacri a Gaza. E questo aumenta l’insicurezza di Tel Aviv.
La pericolosa scommessa bellica di Benjamin Netanyahu con la guerra a Gaza si sta ritorcendo contro Israele? Ormai è ben più di una certezza. La risposta ai brutali attentati di Hamas del 7 ottobre scorso è trascesa in una campagna militare in cui l’obiettivo strategico dello Stato ebraico non è chiaro. E in cui, soprattutto, il crescente computo dei morti palestinesi, saliti oltre quota 30mila nella giornata di ieri, sta svelando l’ampiezza della tragedia di Gaza. In un contesto in cui il 70% dei morti palestinesi sono donne e bambini, è impossibile incolpare unicamente l’uso – che pure esiste – della Striscia come grande “scudo umano” da parte di Hamas. Ed è impossibile negare che quanto accaduto il 29 febbraio, col massacro di 112 palestinesi che aspettavano la distribuzione di derrate alimentari, possa essere potenzialmente la goccia che fa traboccare il vaso.
Una guerra senza limiti che crea problemi di sicurezza
Netanyahu sta conducendo una guerra in cui l’obiettivo rischia di passare dalla sconfitta di Hamas all’eradicazione della presenza palestinese a Gaza. Ovvero al rischio di una pulizia etnica. E questo desta orrore e indignazione. I fatti di Gaza del 29 febbraio hanno spinto molte potenze a chiedere il cessate il fuoco, comprese le maggiori forze dell’Unione Europea. Ma il massimalismo e gli atteggiamenti autoreferenziali dell’élite politica israeliana e del governo di estrema destra di Netanyahu rischiano di impedire a Israele di rendersi conto di quanto proseguire questa guerra finisca per danneggiare il Paese.
“Il governo di Netanyahu non si accorge di essere il più grande veicolo di antisemitismo a livello planetario”, ha scritto con durezza l’economista Leonardo Becchetti sul suo profilo X. Una lettura dura ma corretta. Del resto, il Ministro della Difesa Yoav Gallant da tempo rimprovera a Netanyahu l’assenza di una strategia chiara per finire la guerra come la premessa per il disastro. E i vertici di Mossad e Shin Bet credono, dopo la catastrofe securitaria del 7 ottobre, che la spinta di Netanyahu sulla reazione violenta sia innanzitutto un modo per far dimenticare al mondo che i massacri di Hamas siano, innanzitutto, una conseguenza del flop securitario dell’esecutivo.
Il governo di #Netanyahu non si accorge di essere il più grande veicolo di antisemitismo a livello planetario
Chi combatte l’antisemitismo sono gli ebrei coraggiosi che nel mondo si oppongono a questa politica scellerata#Gaza #Israele #stopalgenocidio
— Leonardo Becchetti (@Leonardobecchet) February 29, 2024
Tutti scontenti di Netanyahu
Solo pochi leader del pianeta, del resto, sostengono Netanyahu fino in fondo. Il suo “migliore amico” resta Javier Milei, presidente argentino che si vuole occidentale e nella fase più calda della guerra a Gaza spinge per spostare da Tel Aviv a Gerusalemme l’ambasciata nel Paese. Una goccia d’acqua nell’oceano. Lula, vicino di casa di Milei e presidente brasiliano, ha usato parole durissime contro il massacro a Gaza. Il Sudafrica ha portato Israele alla sbarra alla Corte di Giustizia Internazionale (Icj) contro il rischio che la repressione diventi un genocidio.
Nel frattempo, contro Israele si è rivolta l’opinione pubblica dei Paesi arabi e di buona parte del “Sud Globale”, quello che un tempo avremmo chiamato “Terzo Mondo”. Basti leggere cosa ha detto sulla guerra il prestigioso quotidiano indiano The Hindu, che rappresenta l’opinione di un Paese il cui governo, guidato da Narendra Modi, non è tra i più ostili a Israele, per capire come di fronte al caso di Gaza l’opinione pubblica di questa parte di mondo abbia la memoria lunga.
La rabbia del Sud Globale
“Le attuali udienze della Corte Internazionale di Giustizia al Palazzo della Pace dell’Aia (Paesi Bassi) non sono una conseguenza del conflitto Israele-Hamas degli ultimi mesi, ma sono antecedenti ad esse”, nota la testata indiana. Aggiungendo: “Nel dicembre 2022, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite aveva chiesto alla Corte un “parere consultivo” su due questioni specifiche relative alle azioni israeliane in passato: in primo luogo, quali sono le conseguenze legali per Israele sulla sua politica di occupazioni, insediamenti e l’annessione dei territori palestinesi dopo la guerra del 1967, e i tentativi di cambiare lo status demografico di Gerusalemme, e in secondo luogo, quali conseguenze legali derivano per tutti gli altri stati e per le Nazioni Unite dalle politiche discriminatorie di Israele nei confronti dei palestinesi“. Il richiamo è alle Nazioni Unite il cui segretario, Antonio Guterres, chiede la messa in campo di una seria applicazione del diritto internazionale.
Cosa vede il Sud Globale nel massacro di Gaza? Vede la sua storia allo specchio. La storia di una parte di mondo messa all’angolo, più volte, dall’Occidente sul fronte del dominio asimmetrico di pochi colonizzatori. Ovvero la storia di molte parti di mondo che hanno avuto una tarda indipendenza e ora pensano che il sostanziale appoggio dato a Israele da una larga parte di Occidente a inizio guerra ne attesti, sostanzialmente, la malafede.
L’idea “coloniale” della guerra a Gaza
Come ha ricordato Fulvio Scaglione su InsideOver, per molti popoli “ciò che succede a Gaza e in generale tra Israele e palestinesi è l’aggressione dei «colonialisti» (gli israeliani) contro i «nativi» (i palestinesi). Più in generale, un massacro ordito da «suprematisti bianchi» contro un «popolo non bianco». Ancor più in generale, il proseguimento del vecchio colonialismo in forma contemporanea”. E questo crea una rottura culturale, intellettuale e politica potenzialmente devastante. Di cui alcune cancellerie iniziano a rendersi conto.
Nella sua confusione, anche Joe Biden e gli Usa hanno provato a dare una linea a Netanyahu. Ma senza risolutezza l’autogol di Netanyahu, ovvero il prosieguo della guerra senza speranza di sbocco militare o di risoluzione sul terreno del conflitto, rischia di alimentare la violenza a Gaza senza garantire una via d’uscita favorevole alla guerra. E di sedimentare quel clima di rabbia montante su scala globale che si ritorce contro Netanyahu e Israele. Con grave danno per stabilità regionale e pace globale.