La risposta iraniana al raid di Israele contro il consolato di Teheran a Damasco dell’1 aprile è arrivata per lanciare un segnale nella notte tra il 13 e il 14 aprile. Una risposta più importante sul piano politico che su quello militare, in un contesto che mostra quanto sotto pressione sia la posizione di Benjamin Netanyahu e del suo governo. Israele ha speso una grande quantità di risorse nel respingere l’attacco e si è mostrata vulnerabile. Delle prospettive strategiche e delle sfide che l’Iran ha posto a Israele parliamo oggi con l’ambasciatore Marco Carnelos, già diplomatico di lungo corso in legazioni di peso come quella irachena e attento studioso di questioni geopolitiche e strategiche.
L’attacco dell’Iran in risposta ai raid di Damasco apre una nuova fase: Teheran dimostra di poter puntare direttamente il territorio israeliano. Come giudica lo scenario?
Questa è la principale novità strategica dell’evento. L’Iran sta dicendo ad Israele “anche se tu e i tuoi alleati occidentali neutralizzerete i miei proxies (la tripla H Hezbollah/Hamas/Houthi), circostanza comunque difficile ed improbabile, io posso comunque colpirti direttamente dal mio territorio, posso farlo come e quando voglio e la mia ‘pazienza strategica’ dinanzi alle tue costanti ‘provocazioni’ sta finendo o è già finita”. In ogni caso nell’inviare questo messaggio Teheran si è premurata di non scatenare un’escalation, ovvero ha ampiamente preannunciato l’attacco conducendolo in un modo molto lento tale da consentire ad Israele ed ai suoi alleati di intercettare tutti i droni, i missili da crociera ed i missili balistici iraniani. È stato un teatro, probabilmente concordato previamente con la CIA nei contatti informali tenuti attraverso il noto canale omanita.
Per Israele il costo materiale della risposta non è stato secondario. Missili Patriot e Arrow, un forte stress di Iron Dome, oltre 1 miliardo di dollari di spesa. Quante altre ondate di questo tipo potrebbe sopportare?
Questo è un elemento chiave che è stato molto sottovalutato nelle analisi. Per due settimane Israele è stato tenuto sui carboni ardenti con costi non solo militari, ma anche psicologici, e se questa divenisse una routine iraniana? Diciamo una volta al mese o anche meno, analoga alla frequenza dei raid aerei israeliani in Libano e Siria che si consumano da anni. Quanto potrebbe reggere Israele, psicologicamente e finanziariamente, incluso l’unico aeroporto del paese, Ben Gurion, deserto?
Si pone, insomma, un tema di pressione per le risorse di Israele…
A fronte di qualche decina di milioni di dollari di missili e droni iraniani, per quante volte Israele potrà permettersi di spendere 1 miliardo di dollari in missili anti-missile? Senza contare che l’eccellente reazione difensiva israeliana ha adesso offerto agli iraniani la mappatura completa dei propri sistemi difensivi. La prossima volta, e speriamo vivamente che non accada, l’Iran potrebbe effettuare l’attacco con modalità ben diverse e più letali (droni e missili potrebbero partire dalla Siria) senza concedere ad Israele i vantaggi deliberatamente offerti in questa circostanza. Sarei curioso di sapere se i 7 missili ipersonici che l’Iran avrebbe lanciato contro Israele sono stati intercettati, è questo il vero dato militare-tecnologico da approfondire.
Benjamin Netanyahu si trova in una posizione difficile: la guerra a Gaza non trova una via d’uscita e il contesto mediorientale è problematico. Ritiene plausibile che cerchi di esternalizzare la crisi alzando l’asticella del confronto con l’Iran?
Al momento a Gaza Netanyahu contempla un bilancio catastrofico: le sue forze armate si sono ritirate dalla Striscia, gli ostaggi non sono stati liberati, Hamas non è stata eliminata e Yahia Sinwar opera indisturbato. È il minimo che voglia rovesciare il tavolo della partita a poker che sta giocando, e perdendo, con un ampliamento del conflitto ma, pare, che gli Stati Uniti questa volta non siano più disponibili a concedergli la “licenza di uccidere” degli ultimi sei mesi.
Come giudica la posizione degli Usa e dell’Occidente in questa crisi?
Luci e ombre, come al solito. Ottimo il lavoro USA per evitare l’escalation, ma non dimentichiamo che questa ennesima crisi avrebbe potuto essere evitata se l’attacco israeliano a Damasco fosse stato condannato per quello che è stato, una violazione del diritto internazionale, una semplice Dichiarazione, emessa dalla Presidenza del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (Presidential Statement) sarebbe forse bastata; al di fuori dei Paesi occidentali resta tuttavia l’impressione che il sacrosanto diritto all’autodifes, invocato così vivamente per Israele, non vale per tutti gli altri Paesi allo stesso modo, e questo purtroppo non aiuta il cosiddetto ordine mondiale basato sulle regole a noi tanto caro.
Che riverberi avrà, infine, la crisi delle scorse settimane sugli altri fronti aperti con gli alleati regionali dell’Iran, dal Libano allo Yemen?
Il paradosso qui è che si potrebbero configurare due situazioni perfettamente speculari. Israele che tenta di attirare gli USA in un conflitto con l’Iran ma anche i proxies dell’Iran, la tripla H, che faranno di tutto per mantenere l’Iran agganciato alla loro causa ora che Teheran sta dimostrando che potrebbe non avere più bisogno di loro. È una situazione estremamente fluida, dove, peraltro, spicca al momento la latitanza russo-cinese.