Dopo il G7 di Fasano nuovi armamenti italiani prenderanno la via dell’Ucraina mentre Roma deve affrontare problematiche spinose circa la corsa al riarmo del Paese. Sono questi i volti a due facce di un caldo giugno per la Difesa italiana. Le due problematiche, intendiamoci, non sono direttamente collegate, ma mostrano la complessità di questa fase.
Il Samp/T verso l’Ucraina, ma non solo
Nei giorni scorsi il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha comunicato che dopo il G7 Roma fornirà all’Ucraina un’unità del prezioso sistema antiaereo Samp/T. Questo è tecnicamente una piattaforma operativa per missili a medio raggio. Il Samp/T si fonda su una struttura a progettazione italo-francese composta da sei elementi, a partire da un modulo per la gestione delle operazioni tattiche e un modulo di comando.
La batteria del sistema è equipaggiata con il radar ARABEL90, responsabile della raccolta di informazioni e della ricerca di obiettivi. Questo radar è alimentato da un generatore, che rappresenta il quarto componente del sistema. Il Modulo Lanciatore Terrestre, elemento chiave per la funzionalità del sistema, è collegato al Modulo Ricarica Terrestre. Infine, i missili Aster completano il sistema Samp/T, rendendolo operativo. Ogni modulo lanciatore può installare otto missili Aster alla volta.
Per quanto riguarda l’uso operativo, la piattaforma Samp/T è complessa e la sua funzionalità è strettamente legata alla capacità di difesa anti-aerea delle forze armate che la utilizzano.
Missili da Roma all’Ucraina?
A questo, di recente, le dichiarazioni del ministro della Difesa britannico Grant Shapps hanno fatto emergere l’idea che l’Italia possa seguire l’esempio di Regno Unito e Francia nell’invio di missili come Scalp e Storm Shadow, capaci di colpire obiettivi a lungo raggio. Non, ovviamente, nel territorio russo, dato che Roma lesina a dar via libera all’Ucraina per tale mossa.
Questo impegno per Kiev va di pari passo con la prima, brusca frenata del programma di riarmo nazionale, dato che è già a un punto morto l’applicazione industriale del memorandum italo-tedesco per l’acquisto di carri armati Leopard 2A8 da produrre, in parte, su licenza in Italia che l’italiana Leonardo e il consorzio franco-tedesco Knds stavano sviluppando.
Perché naufraga l’affare Leopard
Stando a quanto filtra nel mondo degli addetti ai lavori e True-News ha potuto raccogliere da fonti qualificate, il principale ostacolo all’applicazione dell’accordo è stato riscontrato nella difficoltà di adattamento della commessa alle richieste di maggior personalizzazione del carro tedesco nella versione di cui l’Italia si sarebbe dovuta dotare. L’accordo da 8 miliardi di euro è di fatto naufragato mentre da parte franco tedesca Krauss-Maffei Wegmann e Nexter, rispettivamente socio germanico e transalpino di Knds, l’attenzione è rivolta al progetto congiunto Mgcs.
In particolare, nota Ares – Osservatorio Difesa “la controparte tedesca che non ha accettato l’idea di un Leopard 2A8 IT che si discostasse troppo dal Leopard 2S8 di base, creando un mezzo che poteva diventare un’alternativa concorrente con quanto prodotto da KNDS DE e che richiedeva investimenti per la realizzazione per rispondere ai requisiti” dell’Esercito Italiano.
Il dilemma della Difesa
Nei mesi e negli anni a venire l’industria della Difesa italiana potrebbe essere interessata da crescenti questioni di tale ampiezza e le esigenze del riarmo assorbire, con forza maggiore, anche le priorità della programmazione economica degli investimenti. Fornire all’Ucraina asset già pronti e rodati è un conto, sviluppare una filiera complessa un altro. E, mano a mano che le esigenza di Difesa nazionali si rafforzeranno, è possibile che nel prossimo futuro le attenzioni politiche e programmatiche si spingano, per l’Italia a corto di risorse, giocoforza sul secondo punto. Specie se anche per i programmi già avviati, come il Leopard, servirà muoversi per trovare soluzioni d’emergenza.