Perché questo articolo potrebbe interessarti? La sirena degli allarmi aerei mette in apprensione sia ebrei che arabi: su TrueNews alcune testimonianze di italo-israeliani che sottolineano come, tra i tunnel dove ci si ripara dai razzi di Hamas, nascono episodi di convivenza e di reciproca solidarietà tra le varie comunità
Quando si guarda una qualsiasi cartina di Israele, la città economicamente più importante del Paese è generalmente indicata con due nomi: Tel Aviv-Giaffa. Un toponimo quest’ultimo che indica il nucleo originario, l’insediamento da cui poi è partito lo sviluppo dell’intero agglomerato urbano. Giaffa conserva ancora oggi l’assetto ereditato dai secoli passati e il suo aspetto differisce dalla Tel Aviv moderna. Qui il paesaggio è caratterizzato da vicoli e cortili, spesso di stile arabo. E anche le indicazioni, prima ancora che in ebraico, sono in arabo.
Giaffa non a caso è conosciuta anche come il quartiere arabo di Tel Aviv. Qui convivono da sempre ebrei, musulmani e cristiani. I razzi di Hamas sparati dalla Striscia di Gaza rischiano di colpire indistintamente tutti. Maayan Taharani è un’operatrice turistica italo-israeliana che vive proprio a Giaffa: “In questi giorni – è la sua testimonianza raccolta ai microfoni di TrueNews – ebrei e arabi condividiamo gli stessi rifugi. Quando sentiamo l’allarme aereo, scendiamo tutti assieme nei tunnel più sicuri”.
La convivenza tra i tunnel anti missili
Non solo Giaffa e non solo Tel Aviv. In Israele sono diverse le comunità arabe, sia musulmane che cristiane, che compongono la maggioranza della popolazione. Secondo l’ultimo censimento, gli arabo israeliani costituiscono il 21% del totale dei cittadini israeliani. Molti di loro sono discendenti delle famiglie che, dopo la guerra del 1948, hanno deciso di rimanere nei propri villaggi o nelle proprie comunità come cittadini israeliani.
In questi giorni anche loro sono sotto il bersaglio di Hamas. A confermarlo, sempre su TrueNews, è un altro ragazzo italo-israeliano. Lior, questo il suo nome, vive a Ramla. Da qui la Cisgiordania non è molto lontana e inoltre almeno il 20% della popolazione è arabofona ed è concentrata in uno dei quartieri dove abita il giovane: “Non ho mai avuto particolari problemi con i miei vicini di casa – racconta Lior – oggi quando scatta la sirena ci ritroviamo negli stessi tunnel. La paura coinvolge tutti, basta guardarci negli occhi per capirlo”.
Da Giaffa, Maayan spiega come le sirene di allarme aereo cancellino paradossalmente ogni differenza e ogni diffidenza tra ebrei e arabi: “Scendiamo velocemente, abbiamo pochi secondi dalla prima sirena al possibile impatto di un missile – spiega su TrueNews – poi nei rifugi aspettiamo assieme che passi l’allarme”.
“Qui a Giaffa siamo una bellissima comunità, siamo sempre stati amici – prosegue nel suo racconto la ragazza italo-israeliana – e oggi cerchiamo di mantenere intatta questa amicizia”. La condivisione non riguarda solo il momento del rifugio e dell’allarme per i missili: “Più in generale – spiega ancora Maayan – gli arabo israeliani preparano con noi le scorte di cibo, aiutano a raccogliere beni di prima necessità da inviare a chi ne ha più bisogno, dicono di stare con Israele e di essere ben lontani dalla violenza di Hamas”.
Anche da altre località israeliane contrassegnate da una forte presenza araba sono arrivate testimonianze sui social di una convivenza pacifica tra le due comunità. “In una fase in cui il mondo associa la nostra regione alla guerra e all’odio – afferma Lior da Ramla – è bene ricordare che arabi ed ebrei spesso hanno dato prova di vera coesistenza”.
La differenza con gli scontri del 2021
Non sempre di recente è stato però così. “Due anni fa ci sono stati molti scontri qui a Giaffa, così come ad Akko e in altre città – ricorda Maayan – la situazione però era diversa”. Oggi la sensazione è che la guerra abbia contribuito ad appianare le divergenze. Nel 2021 infatti, quegli scontri sono stati in parte espressione dell’insofferenza di alcune comunità arabofone in Israele. Adesso il conflitto sta facendo vivere a entrambe le parti le medesime criticità.
Del resto, il clima di guerra sta coinvolgendo tutti. “A Tel Aviv gli allarmi aerei nei giorni scorsi si sono susseguiti – dichiara Maayan – la città sta vivendo un momento difficile. Io stessa ho il fidanzato e gran parte degli amici pronti a partire per il fronte, con il timore di non vederli più, la situazione non è per niente semplice”.
L’angoscia per i propri cari, così come anche per il proprio futuro, sta attanagliando ogni cittadino. Maayan ad esempio è ferma. Lavorando nel turismo, per adesso deve rinunciare a portare avanti la propria attività. Una scelta forzata comune a migliaia di israeliani, sia ebrei che arabi. Nella stessa Giaffa, bazar e mercatini sono deserti, molti negozi hanno dovuto chiudere i battenti. Il risultato è che a rischiare di rimanere a casa senza reddito sono quei commercianti arabi che da decenni gestiscono botteghe e laboratori artigianali. La percezione di un futuro più incerto, in poche parole, coinvolge entrambe le comunità.
Una speranza dentro i tunnel per il futuro della regione
Gli episodi di convivenza tra arabi e israeliani costituiscono un piccolo ma significativo raggio di luce in un momento, quale quello attuale, contraddistinto dalla furia cieca e buia della violenza. Ma potrebbero rappresentare anche un’indicazione per il futuro di Israele. Prima della guerra con Hamas, la questione relativa agli arabo israeliani stava assumendo contorni molto gravi.
Solo quest’anno ad esempio, tra le comunità arabe sono stati contati più di cento omicidi. Si tratta del risultato di faide e lotte interne tra clan rivali, i quali però hanno contribuito a rivelare una crescente sensazione di abbandono delle regioni arabofone da parte del governo centrale. Poche settimane fa, in un’intervista rilasciata al Foglio, il sindaco arabo di Tira ha denunciato la minore presenza di Polizia e di funzionari della sicurezza nelle aree a maggioranza musulmana. Con il governo che, sempre a detta del primo cittadino, poco o nulla avrebbe fatto per prevenire nuovi omicidi e lottare contro la criminalità organizzata.
La stampa israeliana in questi giorni ha puntato il dito contro il premier Netanyahu proprio per aver sbilanciato la sua linea verso gli estremisti nazionalisti, quali Smotroch e Ben Gvir. Il primo, in qualità di ministro delle finanze, aveva previsto un congelamento dei fondi a favore dei comuni tradizionalmente arabofoni. Il secondo non ha mai nascosto il proprio astio verso la popolazione araba, compresa quella con cittadinanza israeliana. Eppure, dalla convivenza tra le due comunità e dalla loro reciproca collaborazione, potrebbero sorgere quei germogli di speranza capaci di convincere le future generazioni a scegliere unicamente la via della coesistenza.