Arriva il vertice Nato e per l’Italia la corsa al 2% della spesa militare in rapporto al Pil appare ancora difficile da completare. Roma si presenta al vertice di Washington che durerà da oggi all’11 luglio al centro di diversi dossier: è presidente di turno del G7, attiva nel campo africano e mediterraneo col Piano Mattei, convintamente spinta al sostegno dell’Ucraina, ma come il predecessore Mario Draghi anche Giorgia Meloni sta trovando grandi complessità nell’avvicinare al 2% il target di spesa militare.
La spesa militare sale in Europa, meno in Italia
Si tratta di una questione legata al quanto spendere, ma anche al come spendere Quest’anno si presume che le nazioni europee della Nato tocchino il target del 2% nel loro complesso medio, arrivando a 380 miliardi di dollari di spesa militare. Una quota cresciuta del 61,7% dai 235 miliardi di dollari del 2014, anno dell’annessione russa della Crimea, che segnò col summit gallese della Nato l’impegno al target del 2%. E dal 2021, anno in cui la spesa militare europea era di 300 miliardi di euro, ad oggi, l’aumento trainato dalla guerra in Ucraina e dalla corsa alla deterrenza europea è sensibile: +21,7%. L’Italia è salita del 5,1% nelle previsioni di spesa nell’ultimo anno e del 12,5% in due secondo i calcoli dell’Osservatorio Mil€x, arrivando a un budget della Difesa effettivo di 29 miliardi di euro, pari all’1,49% del Pil.
Il nodo personale
La spesa militare italiana non decolla anche perché è in larga parte allocata su un costo strutturale come quello del personale, assai poco flessibile. Nel 2014, i costi del personale rappresentavano il 76,41% del budget militare totale di 20,8 miliardi di euro. Tuttavia, secondo le stime del comando NATO di Bruxelles, nel 2023 contando i fondi da oltre un miliardo di euro del bilancio missioni delle forze armate, sotto il Ministero dell’Economia e delle Finanze, questa percentuale è scesa al 60% su una spesa complessiva di 28,56 miliardi di euro. In termini assoluti, i costi del personale sono aumentati da 15,89 miliardi a 17,14 miliardi, assorbendo il 16% del nuovo incremento della spesa militare. Questo impatto, sebbene minore in termini relativi, è significativo in termini assoluti per il bilancio dello Stato.
Il personale militare tra Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri è diminuito da 183.500 a 173.900 unità. Di conseguenza, il costo medio per militare è aumentato da 86.594 euro a 98.562 euro annui, con un incremento del 12%. Questo riflette l’importanza dell’Italia nei costi del personale in ambito NATO, ma anche una certa rigidità strutturale. Raggiungere la quota del 2% del PIL prevista dalla NATO nel 2014 richiederebbe un’espansione di altre voci di spesa, attualmente difficile da prevedere.
Spese e riarmo
L’obiettivo, quindi, è ottimizzare le spese, non necessariamente aumentandole. Nonostante le apparenti fragilità, come l’alto costo del personale, l’Italia dimostra eccellenze militari. Ad esempio, la Marina Militare ha giocato un ruolo chiave nella proiezione militare italiana, con ingenti investimenti e capacità operative dimostrate in missioni antipirateria e di addestramento NATO. Anche l’Aeronautica Militare beneficia di crescenti investimenti, con il programma F-35 e lo sviluppo del Future Combat Air System (FCAS) di sesta generazione in collaborazione con Giappone, Regno Unito e Svezia.
L’Esercito, tuttavia, necessita di maggiori investimenti. Nel luglio scorso, il generale Luciano Portolano, segretario generale della Difesa, ha evidenziato in una commissione del Senato i problemi comuni di munizionamento delle forze armate europee. Un punto cruciale è l’investimento nei carri armati Leopard, frutto di un accordo Leonardo-Rheinmetall, che vale oltre 8 miliardi di euro nei prossimi anni. Inoltre, secondo l’Osservatorio Mil€x, l’Italia potenzierà la componente di artiglieria con l’acquisto di lanciamissili a lunga gittata M142 HIMARS della Lockheed Martin, un investimento da un miliardo di euro, che affiancheranno le piattaforme M270 MLRS già operative e in fase di ammodernamento.
Insomma, nel bilancio militare italiano si evidenzia la necessità di migliorare l’efficienza delle spese senza necessariamente aumentare il budget. Le eccellenze nelle forze armate italiane, come la Marina e l’Aeronautica, mostrano che l’alta qualità ha il suo costo, ma anche che esistono ambiti, come l’Esercito, che necessitano di ulteriori investimenti per mantenere standard elevati. I futuri programmi di procurement, come quelli per i carri armati Leopard e i sistemi di artiglieria HIMARS, dimostrano l’impegno dell’Italia nel potenziare le proprie capacità militari in un contesto europeo sempre più complesso e interconnesso. Spendere di più è un impegno italiano nella Nato. Spendere meglio è un imperativo ancora più importante. Specie se al nuovo rifornimento militare si affiancherà una ben più precisa dottrina strategica sul ruolo dell’Italia e delle forze armate nel mondo.