Benjamin Netanyahu sta giocando col fuoco nella Striscia di Gaza ordinando all’esercito israeliano di premere con decisione su Rafah, la cittadina più meridionale dell’area di Palestina controllata da Hamas. La nuova “linea rossa” del governo nazional-conservatore israeliano ora è quella del valico con l’Egitto della città in cui sono concentrate centinaia di migliaia di profughi del resto della Striscia. Il cui territorio è oggetto di pesantissimi bombardamenti in cui oltre 26mila persone sono state uccise dall’inizio della risposta dell’Israel Defense Force ai brutali attacchi di Hamas contro Israele del 7 ottobre scorso.
I problemi di Israele a Gaza e il nodo Rafah
L’Idf è impantanata nella Striscia di Gaza da diversi mesi, il numero di morti e feriti inizia a essere difficilmente gestibile dalle strutture sanitarie del Paese e Netanyahu inizia a considerare la prospettiva di aggiungere obiettivi a obiettivi alla guerra di Tel Aviv. Si può analizzare la contesa di Rafah come la più classica strategia di escalate to de-escalate. In altre parole, Netanyahu spinge sul bersaglio grosso, l’assedio dell’unico valico tra Gaza e l’Egitto, per mirare a tagliare i nodi gordiani del conflitto. Ma non si rende conto del fatto che questo aggiunge solo caos e apprensione.
Israele è stata colpita, il 7 ottobre scorso, da un attacco militare prima ancora che terroristico brutale e stordente del cui orrore è, ovviamente, legittimo indignarsi. Il terrorismo va condannato senza sé e senza ma. Ma questo non sposta una virgola del giudizio strategico, politico e militare della conduzione della guerra da parte della destra israeliana al governo: non si capisce, in oltre quattro mesi, quali siano le logiche strategiche che animano il governo israeliano. Un dato di fatto che secondo diversi retroscena è emerso anche nei contrasti tra Yoav Gallant, Ministro della Difesa, sostenuto da David Barnea, direttore del Mossad, col primo ministro.
La guerra senza limiti di Netanyahu
In quattro mesi sembra emergere un’evidenza: quella secondo Netanyahu ha accantonato presto o addirittura non preso mai in considerazione il (comprensibile) piano di fare dell’operazione una risposta ad Hamas. Da una guerra contro Hamas, difficile ed asimmetrica, quella in corso si sta trasformando in una guerra senza limiti. Ovvero potenzialmente senza fine. Una guerra senza limiti nella questione senza fine tra Israele e Palestina. Dove l’Idf combatte il mostro che Netanyahu ha, consapevolmente, alimentato assieme alla destra israeliana nei passati anni al governo: il sostanziale processo che ha portato a preferire Hamas all’Autorità Nazionale Palestinese come interlocutore al fine di spaccare in due il campo degli arabi di Terrasanta si è rivelato un errore storico drammatico.
Una guerra senza limiti, dicevamo, è in corso a Gaza. La guerra di Netanyahu è senza limiti, innanzitutto, perché senza confini sono i bersagli. Una mappa comparata delle aree più densamente popolate di Gaza e delle aree target dei bombardamenti israeliani nega l’idea degli strike mirati a cui altrove, in Libano e Siria ad esempio, Netanyahu si guarda bene dal rinunciare per colpire leader di Hamas all’estero o comandanti delle milizie filoiraniane.
Qual è la strategia di Netanyahu?
Ma la guerra di Netanyahu è senza limiti perché non ne sono chiari i perimetri strategici. Inizialmente Netanyahu ricordava: “ogni uomo di Hamas è un uomo morto”. L’eradicazione di Hamas era preferita alla creazione di un cuscinetto securitario o alla ricerca di una soluzione negoziata sugli ostaggi del 7 ottobre. Poi si è passati all’attacco di terra a Gaza City, con la creazione di un cuscinetto securitario per le operazioni dell’Idf. L’obiettivo della liberazione degli ostaggi va e viene. Nel frattempo la destra radicale israeliana inizia a far filtrare un masterplan per la ricostruzione di Gaza dopo la fine della guerra come propaggine della “Grande Israele”. Dalla guerra a Hamas alla guerra a Gaza.
Il ministro delle Finanze e membro della destra etno-nazionalista Bezalel Smotrich torna in auge per aver auspicato l’occupazione permanente di Gaza e la ricostruzione degli insediamenti israeliani. Il governo israeliano tratta col Congo e altri Paesi africani per gestire un’eventuale evacuazione di Gaza e dei suoi profughi. Più che di rischio genocidio, il vero dramma, oltre al disastro umano, è l’urbicidio di Gaza e il tracollo delle consolidate premesse securitarie della stabilità di Israele nell’arena mediorientale che un tracollo di Rafah e un esodo di profughi verso l’Egitto comporterebbe. Come ricordato da Amedeo Maddaluno e Mauro Indelicato in una conversazione che chi scrive ha avuto con loro e Mirko Campochiari sul canale Parabellum, l’esito di questo esodo biblico sarebbe disastroso per la sicurezza regionale.
Dalla guerra senza limiti conseguenze a cascata
Parliamo di una guerra senza limiti anche, se non soprattutto, per le conseguenze a cascata che può riservare alla sicurezza del Grande Medio Oriente e delle aree ad esso contigue. L’Egitto traballa, Siria e Iraq sono campo di battaglia, il Mar Rosso è incandescente, in Yemen sono attivi gli Houthi, nell’Africa orientale il Sudan è tornato a ribollire e resta il grande nodo delle mosse iraniane. Tutto questo mentre la leadership americana è in discussione e gli Usa giocano a ruota.
La caduta di Rafah è la linea rossa che può trasformare la scintilla in incendio e far alzare ulteriormente l’asticella del caos regionale. Questo perché la guerra senza limiti di Netanyahu è l’unica scelta per il primo ministro per non dare limiti al suo governo di guerra: la permanenza al potere di Bibi è vincolata al suo ruolo di comandante in capo.
La confusione di Netanyahu
Una tregua, una pausa nel conflitto, una qualche forma di armistizio ne segnerebbe inevitabilmente la fine. L’illusione è quella di portare avanti un logoramento continuo a Gaza consolidando passo dopo passo vari obiettivi tattici per risparmiarsi di dover pensare a una strategia. O, peggio, appaltarla agli oltranzisti che vogliono andare ben oltre il ristabilimento dell’ordine a Gaza e la messa in sicurezza del rischio Hamas. Ovvero Smotrich, il leader di Potere Ebraico Ben-Gvir e i fautori dell’opzione Congo. La guerra di Hamas contro Israele ha prodotto la guerra di un uomo e della sua cordata contro una città e un popolo. Nel mondo di oggi la legge del taglione, nei popoli civili, è respinta con forza. Questo deve applicarsi anche al turbolento contesto mediorientale.