È un mistero all’italiana. Una cosa c’era fino alla sera prima del grande evento e poi, proprio sul più bello, risulta scomparsa nel nulla. Non parliamo di un colpo in banca o di un gioco di prestigio ma, più semplicemente, del Recovery plan presentato nei giorni scorsi da Mario Draghi. All’intero del quale, era stato detto, avremmo trovato anche il salario minimo legale. Insomma, un provvedimento con cui fissare un tetto minimo per le retribuzioni dei lavoratori, che trovava d’accordo Movimento 5 Stelle e il segretario del Pd Enrico Letta. E invece, puf.
I fatti: nella versione del “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, data in anteprima il sabato sera scorso, il salario minimo c’era. Peccato non sia sopravvissuto al weekend, defenestrato giusto in tempo per la presentazione ufficiale. Una misura particolare, quella del salario minimo, in grado di mettere d’accordo Confindustria e sindacati: la prima per ragioni forse prevedibili; i secondi, perché ritenevano opportuno rimanere nei contratti collettivi.
A un certo punto, alla fine dello scorso marzo, sembrava che l’approvazione del salario minimo legale, in discussione al Senato dal 2019, fosse vicina. Anche grazie alla Commissione europea, che aveva sollecitato gli Stati membri a introdurlo. La proposta prevedeva un tetto minimo di nove euro all’ora per i lavoratori, anche se non era ancora stato definito un parametro preciso per il suo calcolo. A inizio anno, il presidente dell’Inps Pasquale Tridico aveva spiegato come un salario minimo di otto euro avrebbe portato 3,3 miliardi di euro nelle tasche dei lavoratori.
Peccato che il Next generation Eu – vero nome del Recovery Fund – non abbia avuto tempo per queste cose. Un mistero che lascia molte domande senza risposta. Ad esempio: è davvero la fine del salario minimo legale? E poi: che dirà la Commissione europea di questo trucchetto? E, soprattutto, come la prenderanno i lavoratori?